E’ tempo di mettere serre al posto dei mattatoi


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Ashley Capps in un articolo per il sito Free from Harm, propone considerazioni e informazioni sulla coltivazione dei vegetali in serra, come alternative allo sfruttamento degli Animali per la produzione di cibo. L’argomento è di sicuro molto stimolante, sebbene le soluzioni proposte in alternativa al cosiddetto ciclo della carne, rappresentano pur sempre un pesante e inaccettabile intervento sviluppista e invasivo a danno dell’ambiente e dei viventi in generale e risultano dunque non in linea con il pensiero antispecista e non condivisibili.
Se davvero è giunto finalmente il tempo di sostituire il cibo derivante dallo sfruttamento degli Animali con quello di origine vegetale, è indispensabile seguire delle linee guida che si basino sul concetto del rispetto, del minor impatto possibile e su una seria e sincera valutazione delle conseguenze delle attività antropiche sulla Natura; ciò escluderebbe a priori l’utilizzo di serre, vale a dire ambienti chiusi, artificiali, estranei ed isolati dal contesto naturale circostante e altamente controllati mediante soluzioni tecnologiche.
Più banalmente, invece di tentare nuove vie per impiantare serre per coltivare pomodori a latitudini con situazioni ambientali avverse se non impossibili, ci si dovrebbe concentrare sulla riorganizzazione delle terre coltivabili in zone temperate, dove le condizioni climatiche e ambientali favorevoli permetterebbero l’utilizzo di tecniche agricole appropriate e maggiormente rispettose della biosfera. Servirebbe pertanto non una espansione, come accade attualmente, ma una contrazione e un ridimensionamento della nostra presenta sul pianeta.

Se l’argomento è di vostro interesse, è possibile trovare sul web numerose informazioni, un esempio è il sito di Farm transformers dedicato alla conversione di allevamenti di Animali cosiddetti “da reddito”, in santuari per Animali o in fattorie per la produzione vegetale.


E’ tempo di mettere serre al posto dei mattatoi

Una delle più diffuse giustificazioni per poter mangiare gli animali – riscontrata tra le persone che sostengono la “carne etica” – è che il bestiame può pascolare in aree non adatte ai raccolti, altrimenti conosciute come “terre marginali”.

Tenete a mente che molti sostenitori di questo concetto vivono in regioni di abbondante produzione agricola, cosicché in molti casi la suddetta giustificazione risulta funzionale allo sfruttamento e all’uccisione di animali che non abbiamo alcun bisogno di usare e maltrattare. Oltre al fatto di essere una mera deviazione, ci sono parecchie falle nella dichiarazione delle “terre marginali” come scusa tipica per le pratiche zootecniche, inclusa l’abbondanza in tali spazi di frutti autoctoni e alberi come noci e noccioli  – in più nelle regioni fredde si possono produrre copiosi raccolti grazie alle tecniche specializzate proprio nei climi con poco sole.

Il capo indigeno dell’Alaska Rob Kinneen indica Tim Meyers, a Bethel, come esempio: «In Alaska il 96 per cento del cibo è importato, il che ci conduce alla questione della sicurezza alimentare» dice Kinneen. «Tim Meyers coltiva nella tundra. Usa tecniche agricole per i climi freddi e occupa un alveo di fiume ricco di nutrienti. La produzione è preservata in cantine sotterranee scaldate da stufe con speciali pannelli a olio che mantengono la temperatura a 34°. Se puoi far crescere vegetali con successo in posti come Bethel, penso che lo puoi fare quasi ovunque».

Serre al posto di mattatoi

Le innovazioni nella tecnologia delle serre rende sempre più facile ottenere alimenti vegetali in modo sostenibile e abbondante in regioni dove prima non era possibile coltivare bene o affatto, tra cui Antartide, Islanda, Olanda e Las Vegas, solo per nominarne alcune. E l’agricoltura in serra può essere effettuata usando solo una frazione della terra, dell’acqua, dell’energia e di altre risorse sfruttate per allevare animali.

Sebbene non tutti i produttori in serra attualmente optino per le tecniche di coltivazione “più verdi”, molti lo fanno, e sono in crescita le fattorie in serra su larga scala che danno priorità alle energie rinnovabili.

Prendete l’Olanda, un paese descritto in un recente articolo National Geographic come “privo di ogni risorsa a lungo creduta come necessaria a un’agricoltura su larga scala. Eppure è il numero due mondiale nell’export alimentare in termini di valore, secondo solo agli Stati Uniti, che hanno 270 volte la sua superficie. Come mai gli olandesi ce l’hanno fatta?”

Ce l’hanno fatta attraverso una serie sconvolgente di fattorie in serra, complessi scintillanti che fanno crescere una vasta varietà di vegetali su solo un minimo del terreno richiesto per la coltivazione tradizionale degli stessi prodotti.

“Queste fattorie a clima controllato fanno sì che un Paese situato a mille chilometri scarsi dal Circolo Polare Artico sia leader globale nell’esportazione di un frutto da clima soleggiato: il pomodoro. Gli olandesi sono anche i maggiori esportatori di patate e cipolle e i secondi per tutti i vegetali in termini di valore.”
Ma si può fare in modo sostenibile?

Energia rinnovabile: Sole, vento, e anche i vulcani

Nell’anno 2000, gli olandesi hanno dichiarato il proprio impegno nel diventare leader internazionali nell’agricoltura sostenibile e nella sicurezza alimentare globale, adottando lo slogan “Due volte il cibo usando metà delle risorse.” La fattoria in serra da 36 acri (circa 14,5 ettari, N.d.T.) della famiglia Duijvestijns a Delft, nei Paesi Bassi, specializzata in pomodori pregiati, sembra mantenere questa promessa.

“I Duijvestijns hanno dichiarato la loro indipendenza in fatto di risorse su ogni fronte. La fattoria produce quasi tutta l’energia e i fertilizzanti necessari, e persino alcuni dei materiali per il confezionamento, la distribuzione e la vendita dei raccolti. L’ambiente di coltivazione è tenuto a temperatura ottimale tutto l’anno dal calore generato dalle falde acquifere geotermiche, che sono presenti nel sottosuolo di almeno nella metà del Paese.

La sola fonte d’irrigazione è l’acqua piovana, afferma Ted, che gestisce il programma di coltivazione. Ogni chilo di pomodori delle sue piante con radice fibrosa ha bisogno di meno di quattro galloni (poco più di 18 litri, N.d.T.) d’acqua, rispetto ai 16 galloni necessari alle piante in campo aperto. Una volta l’anno “l’intera coltura è ripiantata da semi, e le piante vecchie sono riciclate per creare cestini per il confezionamento”.

L’Islanda è un altro Paese che sta facendo molti progressi nella produzione di cibo in serra con l’energia geotermica – in questo caso si ricava il calore dai tanti vulcani – per coltivare sostenibilmente frutta e verdura tutto l’anno in una regione in cui molti mesi sono dominati dall’oscurità e da temperature glaciali, storicamente responsabili di una breve stagione di raccolto.

“Prima, raccoglievi gli ultimi pomodori in novembre e i successivi in aprile. Forse vent’anni fa era così”, dice il coltivatore in serra, Pall Olafsson.

Scrive la giornalista Thin Lei Win: “Olafsson attinge alle fonti calde che affiorano dalla terra a poca distanza, trasformando Hveravellir in una delle maggiori fattorie vegetali dell’Islanda, con la produzione di circa 500 tonnellate all’anno di pomodori, cetrioli e peperoni.

L’acqua calda naturale è convogliata per scaldare le serre e le sorgenti sono anche la risorsa chiave per l’energia della luce artificiale che aiuta i contadini in inverno, quando l’isola vede tre ore scarse di sole.”

Ridefinire il cibo locale

Negli Stati Uniti l’agricoltura in serra sta dando un nuovo volto alla nozione di “cibo locale e sostenibile”. Gotham Greens, che possiede fattorie in serra a Brooklyn, Chicago e New York, sfrutta la filosofia “farm to fork” (dalla fattoria alla forchetta), con un minimo percorso tra le strutture di produzione e i ristoranti e negozi di alimentari riforniti. L’azienda, insieme a molte realtà simili che spuntano in tutto il Paese, si commercializza come alternativa locale ai coltivatori in California e in altri Stati occidentali caldi che hanno tradizionalmente fornito al Nord-Est e al Midwest il grosso dei prodotti al di fuori della stagione di crescita.

Utilizzando prioritariamente energia solare ed eolica, queste aziende agricole in serra non solo possono ridurre drasticamente il trasporto e l’utilizzo dei combustibili fossili, ma anche l’uso dell’acqua, attraverso sistemi di ricircolo (che eliminano anche l’inquinamento da deflusso agricolo).

“Mentre una lattuga coltivata in modo convenzionale utilizza circa 13 galloni d’acqua (59 litri, N.d.T.) per raggiungere la maturazione, in una serra Urban Seed, la lattuga crescerà con solo 22 once (un po’ più di mezzo litro, N.d.T.)”, scrive Urban Seed, che gestisce fattorie in serra a Las Vegas, in Nevada. “In che modo risparmiamo oltre il 90% di acqua rispetto all’agricoltura tradizionale e il 40% in più rispetto alla coltura idroponica? Creiamo un sistema a circuito chiuso. Ciò significa che tutta l’acqua che passa attraverso il nostro sistema viene raccolta, filtrata e distribuita. L’unica acqua che non catturiamo, l’assorbono le piante”.

“Il mondo intero pensa che Vegas non possa coltivare cibo”, afferma Rachel Wenman, vice presidente di Urban Seed. “Riteniamo davvero che se puoi coltivare cibo a Las Vegas, puoi coltivarlo ovunque”.

Poi, naturalmente, c’è la terra.

L’agricoltura animale attualmente utilizza circa l’83% dei terreni agricoli globali, ma fornisce solo il 18% delle nostre calorie. In uno studio dell’Università di Oxford (2018), considerato come l’analisi più completa degli impatti ambientali dell’agricoltura fino ad oggi eseguita, i ricercatori hanno concluso che se la produzione di carne e latticini venisse sostituita con l’agricoltura vegetale, l’uso globale dei terreni agricoli potrebbe essere ridotto di oltre il 75% e continuare ad alimentare il mondo.

L’agricoltura in serra moltiplica queste efficienze intrinseche. Le strutture di Gotham Greens “producono circa 20-30 volte in più per acro rispetto all’agricoltura in campo aperto – e sono persino sui tetti, su terreni già utilizzati per qualcos’altro”.

Sebbene nessuno stia suggerendo che l’agricoltura in serra sia il modo migliore o l’unico per coltivare gli alimenti, sta sicuramente emergendo come elemento di spicco tra le realtà locali e sostenibili del settore, aprendo la strada a tecnologie di produzione che sono in molti casi molto più rispettose dell’ambiente e del clima anche rispetto alle forme di allevamento più “a basso impatto”.

Ma le serre sono naturali?

Chiunque possa sostenere che l’agricoltura in serra non sia “naturale”, consideri che gli animali da allevamento non sono più “naturali” in tal senso, né lo è stato addomesticarli; la verità è ben altra. Cosa c’è di “naturale” nell’allevare con la forza miliardi di animali in una breve esistenza prigioniera per sfruttarne i corpi, il latte materno, e le ovulazioni, nessuna delle quali cose ci è necessaria per sopravvivere?
Inoltre, consideriamo che la maggior parte degli animali da allevamento utilizzati nelle Americhe non sono nemmeno specie autoctone, ma sono state introdotte a seguito della colonizzazione.

Quando Colombo e il suo equipaggio arrivarono in Mesoamerica, la terra era ricca di colture autoctone, ma i colonizzatori considerarono i cibi indigeni “inferiori” e iniziarono a importare bovini domestici, maiali, pecore e capre da allevare per la loro carne e il loro latte. Enormi tratti di territorio appartenenti alle popolazioni indigene furono designati dai coloni come “allevamenti di bestiame” a pascolo e, oltre a impadronirsi di queste terre, permisero alle loro mandrie di invadere i terreni coltivati indigeni, distruggendo la loro principale fonte di cibo.

Questo articolo di Linda Alvarez, Ph.D. è uno sguardo straziante e istruttivo su come il cibo è stato usato come forma di potere colonizzatore contro i gruppi indigeni, cancellando le loro vie d’approvvigionamento, i loro diritti sulla terra, e infine mentre intere comunità soccombevano alla malnutrizione e alla fame, le loro proprietà agricole venivano calpestate, consumate da animali al pascolo o rubate per le colture spagnole.

L’allevamento degli animali, come il resto dell’agricoltura, è un sistema di produzione alimentare inventato dagli umani. L’agricoltura in serra è anch’essa un sistema di produzione alimentare inventato dagli umani, ma che non dipende dallo sfruttamento sistematico e dall’uccisione di esseri senzienti.

È importante notare che lo scopo di dare un’occhiata più da vicino al “caso delle terre marginali”, e simili affermazioni usate per giustificare l’allevamento di animali, non implica che sia possibile essere vegani in ogni area del mondo, né che un simile stile di vita sia ugualmente fattibile e accessibile a tutti. Non lo è.

Ma è utile riconoscere che molti degli scenari utilizzati per giustificare lo sfruttamento degli animali per il cibo non riflettono un resoconto equo di tutti i metodi e gli esempi di produzione di alimenti privi di animali a nostra disposizione – dalle antiche tradizioni culturali della cucina principalmente a base vegetale, a tecnologie innovative che stanno accompagnando un modo innegabilmente più gentile, più giusto e sostenibile di nutrirsi.

Ashley Capps per Free from Harm

Traduzione a cura di Costanza Troini per Veganzetta


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5 Commenti
  1. Faustus ha scritto:

    La rivoluzione biocentrica nata con gli ellenisti sta finalmente muovendosi velocemente dopo XXV secoli dalla sua ideazione pitagorica.
    Cambierà completamente il sistema di produzione mondiale e dei consumi, finiranno i colli di pelle di cane cinese come le borse di vitello maremmano, si salveranno molte specie dall’estinzione come l’elefante e rinoceronte, i cui corni e zanne sono usati da cinesi (medicine) e giapponesi (oggettini).
    Per i popoli civili è già un risultato per gli altri occorreranno decenni di convincimento.

    13 Giugno, 2020
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      A prescindere dal fatto che – chi più, chi meno – tutti i popoli umani sono incivili e crudeli nei confronti degli Animali, i decenni di cui giustamente parli non li abbiamo a disposizione. Dunque una rivoluzione che elimini l’antropocentrismo che domina la nostra società, le nostre azioni e il nostro immaginario, dovrebbe cominciare, svilupparsi e dare frutti in un brevissimo periodo.

      13 Giugno, 2020
      Rispondi
  2. Paola Re ha scritto:

    Serre al posto di mattatoi è l’optimum. Lo sanno tutti: politici, economisti, scienziati… ma il profitto che si trae dallo sfruttamento degli animali è troppo ghiotto.
    E poi si darebbe un bel colpo alla fame nel mondo: pure questo non è negli interessi dei potenti. La gente che muore di fame è un grande affare.

    13 Giugno, 2020
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Certamente le tue considerazioni sono condivisibili.
      Bisogna però anche soffermarsi a pensare che se davvero saremo in grado di traghettare la nostra specie verso una nuova alimentazione più giusta, consapevole e meno crudele, lo si dovrà fare con l’utilizzo di altre soluzioni e altre visioni, che non siano sempre e solo quelle di separazione dell’Umano dalla Natura.
      Una serra è una struttura isolata ed aliena impiantata in un ambiente a cui non appartiene. Resa possibile da alta tecnologia, materie plastiche e sostanze chimiche di sintesi. Non è esattamente ciò che dovremmo fare per recuperare un giusto rapporto con gli altri viventi.

      14 Giugno, 2020
      Rispondi
  3. Paola Re ha scritto:

    Purtroppo non sappiamo rinunciare a certi prodotti che arrivano solo tramite importazione. La serra permetterebbe di coltivarli a km zero quindi eliminare tanti costi e tanto sfruttamento di schiavi nei paesi poveri. La serra fatta con criteri sostenibili è possibile. Certamente, se fossimo disposti a rinunciare a banane e compagnia bella, potremmo coltivare solo i prodotti locali nei campi. Il discorso si complica per coloro che vogliono le fragole a Dicembre o roba simile perché in quel caso ci vuole uno psicologo più che un agricoltore…

    14 Giugno, 2020
    Rispondi

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