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Li uccidono a bastonate e nel 42% dei casi cominciano a scuoiarli quando sono ancora vivi. Così sono stati massacrati in tre anni quasi un milione di cuccioli di Foca dai cacciatori canadesi (www.no-alla-caccia.org). Ogni anno circolano fotografie e filmati in cui il bianco del ghiaccio si mescola al rosso del sangue, ma essi non mostrano ancora tutto.
C’è un’altra strage, più silenziosa, meno spettacolare su cui gli obiettivi non si soffermano: quella per annegamento. Questa primavera le condizioni del ghiaccio lungo la costiera canadese sono state le peggiori che la storia abbia mai registrato.
Nel Golfo di St. Lawrence, l’innalzamento globale della temperatura ha creato un disastro ecologico di proporzioni gigantesche. Nei mesi scorsi secondo le valutazioni di HSUS (Humane Society of the United States) circa 250.000 cuccioli sono morti annegati a causa dello scioglimento anticipato dei ghiacci.
Già nel 2002 morirono per affogamento il 75% dei cuccioli di Foca. Lo scioglimento anomalo dei ghiacci non è un fenomeno naturale ma è provocato dall’effetto serra. Quei cuccioli dunque non sono morti per fatalità o per i cinici ma circoscritti interessi economici dell’industria cosiddetta delle pellicce e della pesca. La loro morte è stata provocata dal modello di sviluppo delle società umane industrializzate: dai comportamenti, dallo stile di vita di ciascuno di noi. Nel 1958 il delta del Niger era un ecosistema ricchissimo, era la casa comune di migliaia di specie viventi, fra cui il popolo Umano degli Ogoni. In quell’anno i tecnici della Shell vi scoprono il petrolio. E’ l’inizio del disastro. La foresta viene sventrata, le popolazioni di Animali che vi abitano disperse e sterminate, milioni di litri di petrolio riversati sul suolo e nelle acque a causa di ricorrenti guasti (3000 in 15 anni).
Pesci morti, terra avvelenata, acqua imbevibile. L’intero ecosistema del delta viene distrutto. Mezzo milione di persone sono coinvolte.
Nel 1993 inizia la protesta guidata da Ken Saro-Wiwa, cui la Shell risponde iniziando a costruire un altro oleodotto. Di fronte alle manifestazioni che ostacolano i lavori la Shell chiede l’intervento dell’esercito che spara uccidendo 10 persone. Pochi mesi dopo inizia a dittatura del generale Sani Abachi che si allea alla Shell e reprime la rivolta. Ken Saro-Wiwa viene impiccato nel dicembre 1995. Lo sterminio continua ancora oggi. Sono solo due casi di stragi nascoste, massacri che abitualmente non destano l’attenzione delle battaglie “animaliste” perché descritti con un’asettica terminologia, quella di “disastro ambientale”, che ne nasconde la reale natura: quella di un genocidio. Solo due casi, ma se ne troverebbero di analoghi osservando con occhi critici letteralmente ogni aspetto delle attività umane. Quelle minerarie ad esempio: 1 tonnellata di rame comporta l’estrazione di 310 tonnellate di terra e detriti rocciosi, 1 tonnellata di oro addirittura di 400.000 tonnellate di rifiuti. Rifiuti che puntualmente vengono riversati in ciò che chiamiamo “l’ambiente” ovvero la casa delle comunità viventi, che ne vengono con ciò distrutte. Molto spesso le miniere si trovano nelle foreste. I nuovi insediamenti minerari minacciano con ciò il 40% delle foreste vergini della terra e dei loro abitanti, Animali e perfino Umani.
Centinaia di migliaia di persone vengono espulse dalle loro terre per consentire alle multinazionali l’apertura di miniere e pozzi. Il luogo comune vuole che queste attività siano “necessarie”, che siano indispensabili al “progresso” e al “benessere”. La realtà è diversa. La devastazione della Terra, lo sterminio sistematico dei suoi abitanti Animali e, ovunque faccia comodo, degli Umani stessi, non ha come scopo il benessere dell’Umanità ma nasce dalla pretesa di una parte di essa, i popoli industrializzati, di espandersi illimitatamente: espandere la propria economia, i propri consumi e poco importa se ciò implica il progressivo appesantirsi della propria impronta sulla Terra.
E’ il cosiddetto paradigma della crescita che deforma ormai tutti i sistemi economici ed è entrato a tal punto nel nostro immaginario che la stessa parola che ne esprime l’opposto, decrescita, è stata cancellata per essere sostituita dall’ossimoro “crescita negativa”. Naturalmente un tale paradigma ha bisogno di un presupposto: che l’intera Terra sia a disposizione degli Umani, che essa sia non un insieme di comunità viventi in relazione egualitaria fra loro, ma un oggetto di sua proprietà , una cosa di cui è suo diritto disporre. Da qui l’erezione di quella barricata ideologica fra l’Umano e tutto il resto del mondo vivente che la filosofia morale ha chiamato “specismo”. Senza paura di esagerare o semplificare possiamo dire che la crescita indiscriminata è il fine, lo specismo è il mezzo, la sua truffaldina giustificazione ideologica. La critica dello specismo dunque non può essere separata dalla critica al modello economico-produttivo dominante, basato sulla crescita illimitata, e con ciò non può non rimettere in discussione la stessa organizzazione sociale delle società umane.
Filippo Schillaci
Fonte: Francesco Gesualdi, Sobrietà, Feltrinelli, Milano, 2005.
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è bello leggere qualcosa di veramente ANTISPECISTA, un articolo che va oltre il classico animalismo connetendo le sue tematiche con quelle ecologiste e politico-economiche! :D
è bello non aver paura di dire finalmente le cose come stanno, di mostrare la terribile coerenza del nostro modus vivendi, perchè è ora di capire che l’unica maniera di uscire da questo tunnell in cui ci siamo infilati come “umanità “, tirandoci dietro ovviamente anche tutte le altre specie animali e vegetali, è quella di cambiare atteggiamento proprio a livello di base… perchè altrimenti nessuna “soluzione” potrà mai essere altro che un blando palliativo.
Concordo in pieno…
La strada per il cambiamento sarà lunga e difficile, ma deve essere percorsa