Cibo del futuro?


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Fonte A rivista anarchica anno 48 n. 426 – giugno 2018


Cibo del futuro?

intervista di Laura Pescatori ad Adriano Fragano

La carne sintetica: una schifezza. Ce ne parla il redattore della rivista on-line Veganzetta storico esponente del mondo vegano. Che va oltre queste “novità” e ripropone la riflessione di chi ha deciso di rifiutare e combattere l’uccisione di animali per qualsiasi ragione. Compresa quella alimentare.

Carne sintetica, finti tonni, sushi e salmoni in fibre vegetali, è davvero questo il cibo del futuro? Abbiamo realmente bisogno di riprodurre carne anche in versione vegetale? Teniamo presente che stiamo parlando comunque di prodotti “nati” in laboratorio, è molto importante chiederci quando facciamo la spesa da dove arriva il prodotto che acquistiamo, come è stato prodotto e che impatto etico e sostenibile abbia.
Con Adriano Fragano abbiamo affrontato questo dilagante tema che sta aprendo un dibattito sconfinato tra ambientalisti, vegani, vegetariani e onnivori.

L.P.

Laura Pescatori – Perché questa insensata voglia di ritrovare la carne anche nei cibi artificiali?

Adriano Fragano – Il nostro rapporto con il cibo è più complesso e profondo di ciò che comunemente siamo portati a pensare. Non si tratta semplicemente di mero sostentamento, ci sono motivazioni sociali, culturali e antropologiche che devono essere tenute nella dovuta considerazione. Ogni volta che sediamo a tavola con qualcuno, condividiamo non solo del cibo che ci è indispensabile, ma anche un modo di intendere la nostra esistenza e confermiamo l’appartenenza a un gruppo sociale. Condividere il cibo significa porsi sul medesimo piano, confermare tradizioni, usanze, ciò inevitabilmente fortifica i rapporti tra individui e in definitiva la coesione sociale. Consumare lo stesso cibo significa parlare un linguaggio comune. Non aderire ed anzi spezzare questa condivisione, rappresenta un elemento di discontinuità che viene percepito come un tradimento delle nostre radici culturali (lo sanno bene le persone umane vegane).

L’insostenibilità del ciclo della carne

Tale premessa è necessaria per meglio comprendere le scelte che la scienza sta facendo in campo alimentare, nel quadro più generale dei tentativi di porre rimedio ai disastri che lo stile di vita iperconsumista imposto dalla società capitalista moderna sta causando. L’insostenibilità del ciclo della carne ormai è innegabile: esso è notoriamente causa di immani sofferenze animali, disastri ecologici, ingiustizie sociali e dell’impoverimento delle ricchezze comuni a tutti i viventi (l’acqua, la terra, l’aria…), pertanto se non per motivi etici (che sono e rimangono gli unici fondamentali), perlomeno per motivi ecologici ed economici, dovrà concludersi. È infatti fin troppo chiaro che non potremo continuare così a lungo e le conseguenze delle nostre abitudini e attività si stanno già manifestando nel quotidiano sotto forma di feedback climatico (eventi climatici estremi come reazione alle attività umane causa di squilibri a livello planetario).
Per questo già da tempo si parla della carne sintetica come una possibile soluzione, non più causa dello sfruttamento, meno impattante per l’ambiente degli animali e addirittura più salutare. Parrebbe realmente un cibo etico, ma è davvero così?
Nel processo di produzione della carne sintetica, la base di partenza è costituita da cellule muscolari prelevate da animali vivi mediante biopsia, tali cellule si moltiplicano su un substrato di coltura costituito da siero fetale bovino, ossia da un sottoprodotto dell’industria della carne derivante dai feti estratti dalle femmine gravide dei bovini condotte al macello. Il siero fetale bovino è il brodo di coltura attualmente più usato per le cellule eucariote e fornisce loro ormoni, vitamine e altri nutrienti indispensabili per la proliferazione cellulare. In parole povere la carne sintetica “cresce” in laboratorio ma proviene sempre da corpi di animali vivi sottoposti a prelievi forzati e da feti bovini uccisi durante la macellazione delle loro madri. Bisogna riconoscere che di sicuro l’allucinante numero di individui uccisi per l’alimentazione umana diminuirebbe drasticamente e l’industria della carne – per com’è strutturata ora – subirebbe un colpo tremendo ma non sparirebbe, bensì si specializzerebbe: alcuni animali dovrebbero continuare a essere allevati, sfruttati e a morire. Attualmente si stanno sperimentando soluzioni alternative al siero fetale bovino, che non prevedano l’utilizzo di parti animali, tuttavia rimarrà il problema delle estrazioni delle cellule. Ammettendo che la ricerca scientifica superi anche questo ostacolo, riuscendo a produrre carne solo da linee cellulari isolate e completamente riprodotte in laboratorio, rimarrebbero irrisolte tutta una serie di problematiche legate alla cosiddetta cultura della carne, che costituiscono le fondamenta dell’idea stessa di questo nuovo cibo. Se in futuro la nostra specie si alimenterà di carne artificiale, nell’immaginario collettivo essa continuerà ad essere un alimento originariamente di derivazione animale: la carne artificiale rappresenta un surrogato della carne derivante dalla macellazione ricalcandone nome, aspetto, forma, colore, odore e sapore. Essa ci prospetta uno scostamento minimo dal nostro concetto di cibo, che non va a intaccare in alcun modo abitudini consolidate in fatto di alimentazione. Rimanendo carnivori (seppur di carne di sintesi) continueremo a considerare i corpi degli altri animali una possibile fonte di cibo, per cui nemmeno il commercio di carne “naturale” cesserà. Al contrario essa diverrà un prodotto di lusso a cui solo una nicchia di consumatori ricchi e privilegiati potrà accedere.
La fine dello sfruttamento animale per scopi alimentari è uno degli elementi principali della cosiddetta questione animale ossia le problematiche derivanti dal rapporto – di dominio – che abbiamo con gli altri animali: se non avverrà è lecito pensare che nemmeno gli altri tipi di sfruttamento animale cesseranno completamente. La carne artificiale ci eviterà pertanto di affrontare le difficoltà di un cambiamento culturale e prospettico capace di indurci a pensare agli altri animali come individui da rispettare e non come esseri viventi da sfruttare, impedendoci di porre fine alle terribili conseguenze derivanti dallo specismo che caratterizza la società umana contemporanea. È quindi probabile che la scienza ci permetterà di cibarci di carne anche quando gli altri animali saranno estinti per via di un ecosistema terrestre irrimediabilmente compromesso, proprio a causa della visione che abbiamo degli altri animali, della natura e del nostro ruolo sul pianeta perfettamente riassunta nell’idea della carne.

Macché etico! Non è neanche cibo…

Dicono che la produzione della carne artificiale abbia il 90% in meno di impatto ambientale, ma a livello commerciale/capitalistico?

Considerando l’incremento della richiesta di carne dovuto all’aumento della popolazione umana, per le aziende di alta tecnologia che saranno in grado di sintetizzarla in laboratorio, il mercato e le prospettive di sviluppo commerciale potrebbero essere enormi. Non per nulla nel settore stanno investendo personaggi del calibro di Bill Gates (Microsoft), Richard Brandson (Virgin), Sergey Brin (Google) e colossi come Cargill inc.
La carne in provetta potrebbe divenire cibo a vasta diffusione e a prezzo accessibile, ma rimarrebbe sempre di proprietà delle aziende che l’hanno progettata, mediante un brevetto tutelato per legge. Considerando cosa sta accadendo con le cosiddette sementi “terminator”, ossia sottoposte al Tecnology Protection System (TPS) che provoca la sterilità delle sementi di seconda generazione costringendo i contadini a comprarne sempre di nuove dalle aziende produttrici, è facile immaginare che qualcosa di simile accadrà in futuro anche per il cibo sintetico. La carne artificiale altro non è che un nuovo prodotto strategico delle aziende biotecnologiche e dell’agrobusiness, che probabilmente causerà una dipendenza di miliardi di persone umane, maggiore di quella attuale, nei confronti di un numero ridotto di aziende multinazionali, di Stati e delle logiche di mercato. Ciò inevitabilmente significherà un enorme controllo sulle nostre possibilità alimentari e in definitiva sulle nostre vite: insomma nulla di nuovo, solo peggio.
Chi afferma che la carne artificiale è ecologica, probabilmente non considera che i laboratori altamente specializzati nelle quali verrà prodotta necessitano di quantità enormi di energia, di un supporto tecnologico continuo, nonché di strutture di dimensioni imponenti. Non è pertanto errato definire questo tipo di cibo come altamente tecnologico ed energivoro. Se si pensa inoltre che la carne artificiale sarà una fonte di sostentamento non più legata direttamente agli animali e all’ambiente, riproducibile teoricamente all’infinito e considerata ecosostenibile, è probabile che contribuirà a far decadere ogni remora morale in chi la acquista, innescando il cosiddetto paradosso di Jevons, secondo il quale i miglioramenti tecnologici che contribuiscono all’efficienza di una risorsa o un prodotto, possono causarne l’aumento del consumo anziché una sua diminuzione. Secondo tale teoria economica, la carne sintetica divenendo sostenibile non contribuirà a stimolare alcun tipo di coscienza (e quindi di responsabilità) individuale e collettiva, producendo un aumento dei consumi e al contempo un aumento esorbitante di impiego di energia che dovrà essere generata sfruttando l’ambiente, distruggendo gli ecosistemi e uccidendo animali e piante che li abitano.

“Abbandonare l’atteggiamento predatorio”

È questo il cibo etico del futuro?

La carne sintetica non è un cibo etico, anzi personalmente non la reputo nemmeno un cibo proprio per l’idea che veicola. Il cibo delle future generazioni umane dovrebbe quantomeno essere un cibo nonviolento, compassionevole, sostenibile e autoprodotto su piccola scala: sicuramente non deriverà da altri animali, probabilmente sarà di origine vegetale (forse non i vegetali che siamo abituati a pensare come cibo), ma anche in questo caso si dovrà conoscere molto più di quel che sappiamo del mondo vegetale, per comprendere ciò che potremo e non potremo fare, autolimitandoci per evitare di ricadere nella spirale di violenza e distruzione dei giorni nostri.

I “supercibi” non esistono

supercibi che sconfiggeranno le problematiche alimentari umane non saranno nemmeno gli insetti (ulteriore palliativo, sempre a spese degli altri animali, per evitarci lo sforzo di un doveroso cambiamento radicale), né le piante transgeniche che a prescindere dalle gravi questioni etiche e ambientali, causerebbero la chiusura di ogni spazio di autodeterminazione alimentare. Personalmente credo che una soluzione percorribile sarà l’utilizzo di tecniche di coltivazione non invasive come la permacultura vegan, l’orticoltura sinergica, il forest gardening, unitamente al recupero di conoscenze (come la fitoalimurgia) che abbiamo abbandonato o dimenticato, per la riscoperta e valorizzazione di alimenti vegetali antichi e alternativi. Paradossalmente il cibo del futuro potrebbe giungere dal nostro passato, quando un rapporto con la natura (della quale facciamo indissolubilmente parte) ancora esisteva ed era profondo. Ad ogni modo una conversione del genere non sarà assolutamente facile se si pensa alla velocità con cui si estinguono le specie viventi a causa delle attività antropiche e ai danni prodotti dall’agricoltura monocolturale.
La nonviolenza nell’alimentazione dovrà essere l’elemento guida anche sulle modalità di utilizzo delle ricchezze naturali e dell’ambiente in generale: un vero ribaltamento della situazione attuale che invece è imperniata sul biopotere che esercitiamo sugli altri viventi. Un cibo sano e nonviolento potrà solo essere un cibo ottenuto impattando il meno possibile sugli altri e sull’ambiente (a partire dagli altri animali). In quest’ottica s’inserirà bene la pratica del veganismo etico che potrà ricoprire un ruolo fondamentale per le generazioni future, divenendo un modello comportamentale tanto virtuoso quanto necessario.
L’autoproduzione contribuirà al superamento della specializzazione e della produzione di massa che ci rendono del tutto dipendenti dal comparto agricolo: ciascuno di noi dovrà essere potenzialmente in grado di poter ottenere del cibo autonomamente. In questa logica si potrà parlare di piccola scala, ossia di modelli produttivi locali e gestiti in autonomia da nuclei organizzati ad esempio in un villaggio. Ovviamente siamo nel mondo delle ipotesi, sono però sicuro che avremo un futuro solo se abbandoneremo il nostro atteggiamento predatorio, saremo più umili, rispettosi e chiaramente molti di meno.


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8 Commenti
  1. Paola Re ha scritto:

    Bravissimo Adriano. Questa storia della carne sintetica mi ha già stufata. E siamo soltanto all’inizio.

    30 Giugno, 2018
    Rispondi
  2. Christiana ha scritto:

    Concordo in parte. Concordo sulla sussistenza del substrato capitalista che spinge verso forme più o meno green della produzione di cibo, di cui la carne da laboratorio è solo l’ultimo esempio ed è, a mio avviso, destinata almeno per i primi anni probabilmente ad una nicchia di consumatori. La carne “naturale” resterà appannaggio di quella grande maggioranza di disperati che sovrappopola artatamente il pianeta e che sostiene, inconsapevole ma non sempre incolpevole, il mercato che determina in 1€ (!) il prezzo di un hamburgher rendendolo acquistabile ovunque da chiunque.

    3 Luglio, 2018
    Rispondi
    • Veganzetta ha scritto:

      Ciao Christiana,
      Quella che tu paventi è una situazione iniziale e del tutto temporanea. Se dovessimo effettivamente pagare tutti i costi (economici ma soprattutto ecologici) della carne derivante dallo sfruttamento degli Animali, un hamburger costerebbe svariate decine di euro e non 1 come ora. La carne sintetica sposterebbe l’attenzione della produzione multinazionale su un nuovo settore, ciò significherebbe la fine del finanziamento a pioggia che i governi di tutto il mondo operano in favore della zootecnia, causando un innalzamento considerevole dei costi della carne derivante dagli Animali. Quindi se lo scenario iniziale potrebbe essere quello che descrivi tu, in una situazione futura di produzione consolidata di carne sintetica, la situazione sarebbe capovolta: la carne sintetica costerebbe pochissimo (perché sarebbe sovvenzionata con denaro pubblico), mentre quella derivante dai corpi degli Animali (considerata dannosa per l’ambiente) sarebbe un cibo di lusso e per questo non scomparirebbe affatto. Il concetto di carne verrebbe mantenuto, così come la nostra idea dell’Animale come essere vivente inferiore da sfruttare, se non come cibo, in mille altri modi.

      3 Luglio, 2018
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      • Christiana ha scritto:

        Naturalmente. Non pagando esternalità il prezzo alla vendita di un qualsiasi prodotto di serie resta basso.
        Lo scenario può modificarsi almeno attraverso l’uscita dal sistema di produzione capitalista che necessariamente può avvenire se viene a mancare il soggetto acquirente, ovvero una ampia platea povera e famelica, su cui il sistema sopravvive.

        3 Luglio, 2018
        Rispondi
        • Veganzetta ha scritto:

          La questione della povertà è un altro tipo di sfruttamento del vivente, questa volta umano. La fine del capitalismo non significa la fine della povertà, anche se questo sistema socio-economico l’ha aumentata perché se ne nutre. Guardando le società umane del passato, anche quando non esisteva il capitalismo, lo sfruttamento dei più deboli era assolutamente presente, primo fra tutti quello degli Animali.

          3 Luglio, 2018
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          • Christiana ha scritto:

            L’esacerbazione delle dinamiche di prevaricazione – destinate alla sopravvivenza dell’individuo – nella specie umana e nei suoi rapporti interspecie è conseguente alla nostra numerosità. Con 100000 umani sulla Terra la questione sul piano etico non avrebbe motivo di porsi.

            3 Luglio, 2018
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            • Veganzetta ha scritto:

              Se così fosse realmente allora non saremmo arrivati a essere ciò che siamo. Nel nostro passato siamo stati 100000 in tutto su questo pianeta e forse anche meno, ma questo non ci ha impedito di creare la “civiltà” in cui viviamo oggi.

              3 Luglio, 2018
              Rispondi

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