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Più volte ci è capitato di affrontare il discorso relativo all’identità  dell’animalismo in Italia, e più volte siamo stati costretti a constatare che l’animalismo nel nostro paese nonostante i molti anni di lavoro, di attività  e iniziative, non è riuscito ad elevarsi in alcun modo a movimento. I motivi sono numerosi ed in alcuni casi complessi, la ragione di fondo, però, è in estrema sintesi soltanto una: la mancanza assoluta di principi fondanti condivisi. Sebbene infatti l’animalismo come fenomeno sociale sia presente in Italia sin dalla fine degli anni ’70, nonostante le numerose sigle, gruppi, associazioni, collettivi nati, estinti o tutt’ora presenti nel tentativo di perseguire in vario modo la difesa degli interessi degli Animali (ci limitiamo a dare questa descrizione molto sommaria e generica degli scopi a causa dell’eterogeneità  della “galassia” animalista in oggetto), l’estrema diversità  di posizioni, ovvero la diversità  degli scopi finali, delle metodologie, delle strategie, non ha permesso sino ad oggi la trasformazione di un fenomeno sociale in un soggetto sociale coeso e forte. Per contro, la storia dell’animalismo italiano è costellata di screzi, lotte intestine, diatribe e veti incrociati che ne hanno in gran parte neutralizzato la diffusione sul territorio e l’efficacia dell’azione.

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La nostra attuale società  ha fatto della classificazione uno degli strumenti principali nella riformulazione della realtà  percepita. Molto spesso la finalità  di tale organizzazione delle cose e dei concetti risponde alle necessità  dell’industria, del mercato, della comunicazione o… dell’occultamento della realtà. Non che vi sia una volontaria cospirazione in questo senso, ma pare che vi sia una sorta di meccanismo, di collegamento, tra necessità  pratiche e modificazione della percezione della realtà. Ad esempio il termine “bistecca” che per molti richiama visioni di succulenti banchetti, cela però la sua origine violenta, non corrisponde nell’immaginario popolare alla realtà , ma ne crea un’altra fittizia ed alternativa (solo di natura gastronomica), etimologicamente sarebbe più corretto dire: “fetta di carne di bove” come recita la radice etimologica beefsteak, o meglio “parte del cadavere di una Mucca sgozzata appositamente”.

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v2_illustrazione.jpgRecentemente Il Corriere della Sera ha pubblicato un curioso articolo dal titolo: “La nuova moda estiva: i “vegansessuali””, il testo riportava i risultati di una ricerca condotta da Annie Potts, direttrice del New Zealand Centre for Human and Animal Studies dell’università  di Canterbury, che mediante l’intervista di 157 persone vegane è giunta a delle conclusioni a suo dire “l’hanno lasciata di stucco”.
La ricerca consisteva nel porre una serie di domande molto varie: da ciò che gli intervistati pensavano del Pollo in batteria alle loro preferenze sessuali, dal tipo di scarpe usate all’importanza degli odori negli incontri erotici. La maggior parte delle donne intervistate (non si parla degli uomini) ha dichiarato che preferisce evitare rapporti sessuali con partners che mangiano la carne di Animali uccisi, e la stampa riporta soprattutto una delle motivazioni addotte da una delle intervistate “Se Feuerbach aveva ragione (“Sei quello che mangi”, N.d.R.), allora dobbiamo preoccuparci dei fluidi corporei di chi si nutre di animali morti, soprattutto quelli sessuali”.

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Tra i balocchi più amati ancora oggi dai più piccoli indubbiamente gli Animali di peluche spiccano per popolarità ; ogni cucciolo di Umano ha desiderato possedere un cagnolino, un gattino, un orsetto o un maialino di morbido peluche da accarezzare, con cui parlare, giocare e con cui condividere gioie e paure, l’immagine del bimbo che si addormenta sereno nel lettino abbracciato al suo fido ed inseparabile peluche è ormai un’icona della società contemporanea.

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