Allevapol(l)i


Si legge in circa:
4 minuti

È difficile immaginare l’orrore di un allevamento ed è ancora più difficile viverlo. Dopo innumerevoli video sulla sofferenza degli Animali non umani mi credevo preparata all’impatto provocato dalla vista di migliaia di esseri senzienti ammassati in un luogo del tutto estraneo al loro habitat naturale, ma mi sbagliavo. Gli odori, la putrefazione, l’asfissia mischiati con il terrore negli occhi di molte giovani anime torturate minuto dopo minuto, non appartengono a ciò a cui ci si possa abituare guardando dei video sullo schermo: sono delle esperienze difficili da descrivere, ciò nonostante cercherò di raccontarle.
Aderisco all’iniziativa lanciata da un allevatore di Polli per visitare i capannoni gestiti dalla sua famiglia che si trovano a un’ora e mezza di viaggio in direzione est di Berlino. Ben nascosti, lontani dalla capitale si estendono tre capannoni in mezzo a seicento ettari coltivati a grano e colza. Una località abbandonata a se stessa, priva di collegamenti ferroviari e di pullman, raggiungibile solo in auto: è il luogo ideale per attività poco popolari come una fabbrica di petti di Pollo. Si direbbe: lontani dagli occhi, lontani dal cuore, senza dubbio il proverbio più calzante perché la presenza degli Animali è accuratamente celata, anche giungendo a pochi metri dal portone di entrata dei capannoni.

Mi ci reco con un’auto condivisa con alcuni colleghi di lavoro e sono costretta a sorbirmi un’atmosfera da discoteca creata appositamente per non concentrarsi su ciò che ci attende e sull’obiettivo della giornata. Una distrazione che affievolisce il peso di coscienze consapevoli della natura della visita e dell’impossibilità di fare alcunché in favore di vittime innocenti. Tuttavia ritenendo inappropriato viaggiare verso un luogo di crudeltà con l’allegria tipica dei vacanzieri, m’isolo meditando e fissando il paesaggio che scorre. Il luogo pare possedere qualcosa di surreale: è paragonabile a un paesaggio lunare su quale spuntano pochi edifici avvolti dal mistero. L’atmosfera è simile a quella di un luogo costellato di baracche piene del pesante silenzio dei campi di concentramento svuotati di corpi, lasciandoci in eredità gli incancellabili spasimi dei segregati. Il nostro arrivo viene notato dagli impiegati del lager i quali sbucano all’improvviso da un piccolo edificio costruito per collegare due capannoni. In cinque gestiscono centocinquantamila Polli divisi in tre stalle industriali, custoditi come tesori ma trattati come stracci. Alla nostra richiesta di utilizzare la toilette, veniamo scortati e sorvegliati per non farci avvicinare ai loro oggetti di profitto. Oso chiedere il permesso di fotografare l’interno dello stabilimento, pensando ingenuamente di non incontrare della diffidenza, ma mi viene negato con la scusa che il click potrebbe turbare gli Animali e causare in loro disorientamento. La loro finta preoccupazione su cosa giovi e cosa nuoccia al benessere dei Polli è ridicola; consapevoli del nostro punto di vista, gli allevatori temono che potremmo riuscire a scuotere le coscienze e risvegliare la compassione nei loro clienti carnistici con qualche fotografia, perdendo così una fetta del mercato acquisito con tanta fatica. Non siamo gli unici a curiosare: si aggrega al gruppo anche il titolare di un macello che assieme all’allevatore si prende il compito di rispondere alle nostre domande e di difendere gli interessi dell’industria della carne. Coperti da tute bianche e immerse le scarpe rivestite di plastica in un disinfettante, entriamo nel capannone usando una porta secondaria di vetro. Sebbene esista un portone principale, esso viene aperto solo due volte nel ciclo della breve vita degli Animali: quando ancora pulcini vengono scaricati e trasferiti alla loro unica “casa” e quando abbastanza ingrassati vengono scaraventati nelle gabbie e trasportati al macello.

In un primo momento all’interno del capannone mi travolge uno stato di shock sia per la carenza d’ossigeno sia per l’atmosfera, rimango senza parole e non riesco a formulare nessuna domanda agli aguzzini. Mi sfiora anche l’idea di scappare subito e fare ritorno all’aria respirabile, perché sostare all’interno comporta anche l’inalazione di una miscela di polveri contenenti frammenti di escrementi sospesi nell’aria e di mangime. Scaccio immediatamente il pensiero, quando mi accorgo che in confronto alla forza dei Polli nel sopportare i continui abusi, la mia fuga sarebbe una vigliaccata. Mi affaccio all’immensità dello spazio il cui pavimento è interamente ricoperto di fragili volatili dalle piume bianche strapazzate, avvolti in una nebbia paragonabile a una tempesta di sabbia. Cinquantamila neonati ridotti a meri produttori di “petto di pollo” a stento si rassegnano alla loro condizione e sperano invano in un miglioramento. Mentre l’allevatore e il macellaio analizzano dati, tempi, mercato e soprattutto possibili guadagni, infrangendo le istruzioni dell’allevatore, alcuni di noi accarezzano i Polli cercando di confortarli per quel breve lasso di tempo che abbiamo a disposizione. Diffidenti all’inizio, ma fedeli alla loro natura giocosa, superano gli ostacoli, individuano le persone umane più interessate al contatto ravvicinato e cominciano a utilizzare nostre le gambe come pali intorno a cui poter girare a slalom. Ogni nostra mossa incute paura e provoca fughe a goffi scatti. I loro movimenti sono fiacchi per la massa corporea sproporzionata alla statura e all’età: perché producano in trentasette giorni più petto possibile, vengono ingrassati a dismisura sotto la continua luce artificiale somministrando loro il mangime dopato di grassi e antibiotici. Le finestre sono delle fessure ridicole, dove il sole non penetra e la polvere non può uscire. L’unica volta che vedono la luce del giorno avviene per una frazione di un secondo nel tragico momento di carico sul veicolo in cui essa si infiltra nella fessura tra il portone aperto e il camion.

Dopo l’uscita mi sento al contempo sollevata e profondamente triste: sebbene assomigli a un luogo infernale, non posso non pensare ai suoi innocenti abitanti, ingiustamente condannati a un destino fatale solo perché sono nati in un corpo da Pollo e la loro carne è gustosa e desiderata sul mercato. Da figli di un dio minore servono la divinità del denaro venerata dai loro aguzzini. E su questo nemmeno la discussione che segue la visita può convincermi del contrario. Si decide in base alla convenienza economica se coltivare la colza o allevare Polli e siccome la coltivazione vegetale comporti più rischi, si sceglie di massacrare anziché far crescere con fatica del grano destinato a diventare cibo per Umani. Adesso, su quei terreni, cresce la colza che diventa mangime dei Polli i quali a loro volta finiscono come cibo degli Umani. Anche se volessimo escludere la questione etica, l’assurdità dei fatti è palese.
Consapevoli di non riuscire a cambiare l’idea né alla famiglia di allevatori né a chi approfitta degli Animali macellandoli, ripartiamo dovendoci lasciare alle spalle la tragedia delle vittime. Inermi nell’azione, l’unica scappatoia dal buio dei sentimenti è la condivisione verbale della nostra esperienza durante i primi minuti del viaggio di ritorno. Passati questi attimi di ‘purificazione’, ritornano i ritmi rap e reagge a riempire di nuovo lo spazio dell’abitacolo dell’auto… questa volta però non riescono ad affascinare nessuno.

Dóra Zambó


Se hai letto fin qui vuol dire che questo testo potrebbe esserti piaciuto.
Dunque per favore divulgalo citando la fonte.
Se vuoi Aiuta Veganzetta a continuare con il suo lavoro. Grazie.

Avviso legale: questo testo non può essere utilizzato in alcun modo per istruire l’Intelligenza Artificiale.

8 Commenti
  1. Dez ha scritto:

    mi avete fatta tornare all’angoscia di 1 anno e mezzo fa.
    chi non è mai entrato in uno di questi…posti non può capire.
    tutto quello che si dice sugli allevamenti non è vero, è ancora peggio.
    grazie

    7 Ottobre, 2015
    Rispondi
  2. Isabella Dallonore ha scritto:

    vi ringrazio per i vostri racconti sono importanti per la gente che vuole informarsi e conoscere la verità ! Grz a gente come voi io sono diventata vegana! Ne sono orgogliosa! Grz infinite immagino come sia pesante questo lavoro complimenti

    8 Ottobre, 2015
    Rispondi
  3. Cori ha scritto:

    tanto di cappello per chi ha il coraggio e la forza di documentare questi inferni.

    10 Ottobre, 2015
    Rispondi
  4. Paola Re ha scritto:

    Cara Dora, non so dove tu abbia trovato il coraggio per affrontare questa giornata particolare. Dopo questo racconto minuzioso, ci aspettiamo un’opera d’arte rappresentativa del lager che hai visitato. Io ho visto allevamenti di svariate specie animali ma il tipo di lager che hai visto tu mi è noto solo da video. Ho notato che hai scritto di odore, asfissia e mancanza di ossigeno: sono le stesse cose che dice chi fa indagini investigative ed entra in questi posti. Chi vede i video non si rende conto dell’aspetto olfattivo di queste situazioni. A scuola, in prima media, per la prima volta ho sentito raccontare le storie dei campi di sterminio da persone sopravvissute ospiti nella mia classe e ho provato una simile sensazione: credere ai racconti era difficile ma facilitato dalle foto pubblicate sui libri e dai documentari visti in televisione mentre quando parlavano degli odori provenienti dai forni, nessuno della classe poteva comprendere. Dato che non mangiavo animali (ero la sola della classe), associavo l’odore dei forni all’odore delle grigliate che si facevano in campagna: era carne bruciata, affumicata, e per me quello era l’odore delle vittime da forno. Ancora adesso, la grigliata mi richiama quel collegamento. Sulle sensazioni olfattive si può scrivere a fiumi e credo che l’odore del lager che hai visitato ti resterà impresso tutta la vita, come è rimasto quello dei forni nelle persone sopravvissute che non perdono occasione per ricordarlo.

    11 Ottobre, 2015
    Rispondi
  5. STELLA CERVASIO ha scritto:

    Come Garante dei diritti degli animali del Comune di Napoli ho scelto di non essere “tiepida” su questo tipo di allevamenti ma segnalo che la sensibilità della gente è ancora troppo centrata solo su cani e gatti per poter segnare un passo nuovo e decisivo contro le aberrazioni dello sfruttamento animale. Oltretutto, di quelli che segnalano maltrattamenti, pochi sono quelli che distinguono un maltrattamento vero da un trattamento “poco umano”, ossia si attengono ancora troppo ai dettami dell’umanizzazione, dalla quale è difficile riuscire a mettere in guardia senza essere tacciati di scarsa…umanità.

    11 Ottobre, 2015
    Rispondi
  6. Paola Re ha scritto:

    Sempre a proposito di odori, la notizia della leonessa smontata di ogni suo organo ha fatto il giro del mondo e nelle foto si vedono le facce sconvolte di bambni e bambine davanti a cui l’atto si è compiuto. Se vediamo come si tappano il naso, immaginiamo quale odore insopportabile resterà impresso nella loro memoria
    http://www.huffingtonpost.it/2015/10/15/leone-dissezionato-bambini-copenaghen_n_8301780.html?utm_hp_ref=italy&ir=Italy
    Non ci è bastato lo spettacolo di Marius.

    15 Ottobre, 2015
    Rispondi
  7. fabio bodrero ha scritto:

    Grazie per questi contributi importantissimi, io sono vegano da anni, da anni vedo queste immagini e leggo questi resoconti, ma ogni volta mi provocano una sofferenza infinita. Dobbiamo veramente cambiare le cose al più presto! Bisogna essere piu’ presenti a livello mediatico anche se conosco le difficolta’ che si incontrano a presentare ad esempio in televisione, questo genere di argomenti, soprattutto per le pressioni degli inserzionisti pubblicitari….

    18 Ottobre, 2015
    Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *