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Recentemente Il Corriere della Sera ha pubblicato un curioso articolo dal titolo: “La nuova moda estiva: i “vegansessuali””, il testo riportava i risultati di una ricerca condotta da Annie Potts, direttrice del New Zealand Centre for Human and Animal Studies dell’università di Canterbury, che mediante l’intervista di 157 persone vegane è giunta a delle conclusioni a suo dire “l’hanno lasciata di stucco”.
La ricerca consisteva nel porre una serie di domande molto varie: da ciò che gli intervistati pensavano del Pollo in batteria alle loro preferenze sessuali, dal tipo di scarpe usate all’importanza degli odori negli incontri erotici. La maggior parte delle donne intervistate (non si parla degli uomini) ha dichiarato che preferisce evitare rapporti sessuali con partners che mangiano la carne di Animali uccisi, e la stampa riporta soprattutto una delle motivazioni addotte da una delle intervistate “Se Feuerbach aveva ragione (“Sei quello che mangi”, N.d.R.), allora dobbiamo preoccuparci dei fluidi corporei di chi si nutre di animali morti, soprattutto quelli sessuali”.
Da questa singola affermazione decontestualizzata, i mass media hanno dato origine ad un ritratto delle persone vegane del tutto fuorviante e “leggero”, quasi si trattasse di una setta di folli, con stravaganti abitudini, lasciando implicitamente intendere che in quanto tali (stravaganti) non meritano di essere presi sul serio e la cui voce fuori dal coro (di persone che stanno fuori dalla società ) non ha senso ascoltare, se non per divertimento o per articoli giornalistici di “colore”. Il fatto di dire che le persone vegane non fanno sesso con le persone carnivore perché ne provano repulsione a causa dei “liquidi corporei”, elimina, annulla del tutto il vero problema di relazione: ovvero il giudizio che le persone vegane hanno dello stile di vita basato sulla sfruttamento e la uccisione degli Animali. Per ogni persona carnivora è difficile confrontarsi con l’implicito giudizio negativo sulle sue abitudini crudeli che una persona vegana rappresenta con il suo stile di vita, perché ha, per così dire, “la coscienza sporca”. Risulta quindi più tollerabile spostare la questione su un altro tema, come quello del sesso.
E’ dunque meno disturbante scrivere: “I vegani non fanno sesso con chi mangia carne perché sono schifati dai loro fluidi corporei” invece che “I vegani non vogliono avere rapporti affettivi (neppure minimi come un rapporto sessuale occasionale) con persone il cui stile di vita è basato convintamente sulla uccisione e sullo sfruttamento degli Animali”. Insomma la trattazione di tale argomento, tutta incentrata sugli aspetti della sessualità e del settarismo, ha nascosto il fatto che invece le persone vegane vivono e agiscono nella società in maniera equilibrata ed aperta, ma con uno stile di vita radicalmente diverso, dimostrandone concretamente la possibilità . A questo proposito, tornando alla Potts ed alla sua ricerca, costei ha scoperto con stupore come la maggior parte delle persone vegane si sentano “profondamente diverse e lontane” dalla popolazione cosiddetta “normale”. A nostro avviso sentirsi diversi da chi non condivide uno stile di vita basato su convinzioni etiche non rappresenta nulla di strano, ciò non significa che le persone vegane si sentano delle elette, o che dovrebbero isolarsi dal resto della popolazione, al contrario, sono persone che vivono appieno la vita proprio perché convinte della propria scelta.
Anche la scelta sessuale, pertanto, è e rimane personale e privata, ciascuno ha il diritto di decidere con chi scambiare effusioni o avere rapporti sessuali, senza remore ed in piena libertà. L’articolo comunica che la “moda” dei vegansessuali cominciata in Nuova Zelanda si sta rapidamente espandendo anche negli Stati Uniti, il giornale la definisce “la nuova moda dell’estate”: ancora una volta i media si rifiutano di prendere in considerazione seriamente un fenomeno sociale e culturale in grande espansione che di modaiolo o settario non ha assolutamente nulla. Noi continuiamo: chi la dura la vince.
La Redazione
Articolo pubblicato originariamente nella rivista Veganzetta versione cartacea: Anno I / n° 2 del 30 settembre 2007, p. 1
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Il fenomeno dei vegansessuali, ammesso che esista veramente in questi termini, è davvero molto interessante. Ne parla diffusamente Simonsen nel suo Manifesto Queer Vegan (http://www.orticaeditrice.it/prod.php?id=45), per mostrare i limiti dell’identitarismo e, al contempo, la tendenza della cultura specista ad “attaccarsi” ad alcuni aspetti del veganismo per screditarlo, come dici tu (La Redazione) qui sopra.
Sul fatto che il fenomeno “vegan” non abbia nulla di modaiolo potrei essere d’accordo. Che non abbia nulla di settario, mi sembra esagerato, però. Se poi ci poniamo se ha qualcosa di (fortemente) identitario, si apre un vaso di pandora. Del resto, questo stesso articolo (scritto tempo fa, magari chi l’ha scritto non la pensa più così) finisce in un modo che più identitario non si può: “Noi continuiamo: chi la dura la vince”.
Ciao Marco,
Grazie per la segnalazione.
Il veganismo non è una setta: se non altro perché non ha alcuna organizzazione interna e nessun capo spirituale o figura di riferimento che lo rappresenta, cosa che invece è basilare in una setta.
Il problema identitario è enorme, e anche in questo caso si può dire che il veganismo – purtroppo – non ha un’identità precisa.
Avere un’identità non significa escludere una pluralità di visioni e di posizioni, significa solo evitare di svilire un messaggio e di consegnarlo in mano ad altri permettendo loro di utilizzarlo per altri scopi (come sta esattamente accadendo ai nostri giorni).