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A forza di aperitivi vegani, ci siamo bevuti pure il cervello!
Una critica e autocritica al movimento per la liberazione animale
www.ecodibergamo.it/stories/La%20Salute/vegani-e-vegetariani-arrivano-le-prime-farmacie_1058289_11
Nelle grandi città e ormai anche nelle piccole realtà di provincia il termine “veganismo” si sta diffondendo a macchia d’olio: è tutto un fiorire e susseguirsi di serate all’insegna del “vegano”, di “aperitivi vegani”, ristoranti vegani, gelaterie con ampia selezione di gusti vegani, pasticcerie con reparto vegano, fast food vegani e via dicendo. Aziende e catene di supermercati, anche discount, tra cui la Coop, Todis, Carrefour cercano di accaparrarsi attraverso il lancio di proposte sempre più accattivanti – attente alla terminologia usata e al design – questa nuova fetta di consumatori da poco individuata nel mercato: il popolo vegan.
Non solo è in crescente aumento la disponibilità di prodotti vegani nei supermercati, ma addirittura, come si legge nell’articolo cui rimanda il link citato, a breve le persone che rifiutano di partecipare allo sfruttamento degli Animali attraverso i loro acquisti potranno trovare anche integratori e paramedicinali in linea con le loro scelte etiche. Non si tratta di farmaci non testati, ma di prodotti che non contengono ingredienti di origine animale.
Solo una lettura superficiale e scarsamente critica del fenomeno potrebbe indurre a pensare che il movimento antispecista che da decenni si batteper la liberazione di tutti gli Animali, stia raccogliendo i suoi primi successi sulla base del merchandising vegano in crescita. Eppure non di rado sui social network si leggono commenti di giubilo per la scoperta dell’ennesimo ristorante vegano. Tanto ottimismo, troppo, fa pronunciare ad alcuni persino frasi come: “stiamo veganizzando il mondo, stiamo rivoluzionando la società”. Si gioisce perché in tv si parla di dieta vegana contro il cancro, o perché presentatrici di successo dalle idee un po’ confuse pubblicano libri di successo.
Abbiamo un problema: mediatico, politico, sociale, terminologico, argomentativo e forse anche sostanziale, ossia di scarsa chiarezza all’interno del “movimento” stesso. Si confondono gli obiettivi con gli strumenti, e si usano, come nel caso dell’appello agli argomenti indiretti, strumenti sbagliati per obiettivi sbagliati, o che comunque non costituiscono l’essenza della nostra lotta. Vero che diventare vegani è la prima forma di reazione e contestazione al sistema che miete miliardi d’individui senzienti all’anno per i più disparati scopi, ma è altrettanto vero che non rappresenta un punto d’arrivo, semmai di partenza. Il diventare vegan, se non accompagnato da altre precise istanze, corre il rischio, come di fatto sta avvenendo, di essere tradotto nella richiesta di riconoscimento e rispetto dell’essere vegan, come se i soggetti politici in questione fossero le stesse persone vegane, e non gli Animali non umani (di cui dovremmo essere solo portavoce e rappresentanti). Il tutto quindi ovviamente rimarrebbe all’interno del paradigma antropocentrico.
Tornando all’articolo sopra, colpisce una frase che è emblematica dell’intera questione perché mette in risalto il nocciolo del problema: “ D’altronde «i numeri confermano che gli italiani sono sempre più sensibili a nuovi stili di vita»”.
Gli italiani. Si parla degli italiani, non degli Animali non umani. Si parla ancora una volta di noi soggetti umani e non di coloro che sfruttiamo.
Si continua inoltre a far riferimento al solo veganismo, quasi sempre evidenziandone i soli aspetti salutisti – quindi depotenziandone l’originaria istanza rivoluzionaria di rifiuto contro il sistema di sfruttamento degli Animali – identificandolo come un nuovo “stile di vita”.
Porre l’accento sugli “stili di vita” significa voler dire innanzitutto due cose: la prima è che poiché gli stili di vita sono tanti, ognuno avrebbe il diritto di scegliere il proprio senza che per questo debba essere redarguito o stigmatizzato, e infatti l’obiezione che gli specisti ci rivolgono più di frequente è: “io rispetto la tua scelta, tu rispetta la mia”, come se il dibattito fosse tra due soggetti in gioco che cercano di avvalorare la propria posizione dialettica, e non, come realmente è, PER dare voce, visibilità e possibilità di un’esistenza degna a un TERZO SOGGETTO, che è l’Animale non umano oppresso, della cui vita o morte stiamo effettivamente discutendo. La seconda, appunto, è che nella locuzione “stile di vita” gli Animali continuano a essere del tutto assenti, nemmeno referenti assenti, per dirla con Carol Adams, ma nemmeno referenti in quanto è sempre e solo di noi Homo sapiens e delle nostre esigenze – o presunte tali – che si sta parlando.
Scopo primario del capitalismo e della società dei consumi è quello di sedurre i potenziali clienti costringendoli, senza che se ne avvedano, a nutrire i loro desideri derivanti da bisogni indotti stabiliti a tavolino. Non è vero che il consumatore crea la domanda – ciò accade raramente – è vero quasi sempre l’inverso. C’è bisogno di vendere un prodotto e allora si fa in modo che le persone si innamorino, attraverso varie strategie di marketing, di quel prodotto.
Accade che quando una minoranza si attiva per contrastare una pratica quale quella dello sfruttamento degli Animali, ritenuta oscenamente sbagliata infastidendo l’establishment economico e culturale – fastidio a doppio titolo, non solo perché mette in discussione una cultura vecchia di secoli, ma anche perché materialmente mette a rischio gli attuali equilibri economici – il sistema non rimanga certo fermo a guardare, ma reagisca. Come? Innanzitutto, prima di spendere energie in tentativi di oppressione decisi e mirati, tentando di neutralizzare la minoranza che disturba e rischia di incepparne il suo lento incedere organizzato.
Perché combatterci se possiamo essere assimilati e anzi, da elementi pericolosi e destabilizzanti, risultare addirittura fonte di nuovi guadagni?
E quale migliore strategia per sedurci di quella di farci credere che siamo non soltanto ascoltati, ma anche coccolati, vezzeggiati ed esauditi nelle nostre richieste? “Perché io valgo” recitava lo slogan di una nota marca di cosmetici (che peraltro testa sugli Animali) a ribadire, con chiaro intento di seduzione e adulazione del consumatore, che i suoi bisogni e le sue necessità sono ascoltati e che comprando quel dato prodotto si ha rispetto della sua persona (e poco importa se migliaia di Animali sono stati massacrati, ciò che conta è il mantenimento dello stile di vita del consumatore funzionale al mantenimento del sistema capitalista). “Perché tu vali, cara/o vegan” sembra oggi ammiccare dagli scaffali dei supermercati la nuova strategia di marketing per cui da una parte si finge di dare ascolto alle nuove istanze etiche di una società che sembra affacciarsi sulla soglia di una nuova rivoluzione, dall’altra si sta mettendo a tacere la minoranza sovversiva attraverso un depotenziamento progressivo delle sue istanze più radicali.
Quello che è in atto, con una mossa che sta passando quasi inosservata ai più, è un pericoloso slittamento concettuale dalla richiesta al richiedente, ossia di trasformazione di una prassi (il veganismo) in finalità ultima, come se il nostro scopo fosse non già quello di liberare gli Animali, ma di poter accrescere la reperibilità di prodotti vegani: ossia di deviazione – con chiaro intento d’indebolimento – di quelle che sono le richieste originarie del movimento antispecista nella morbida e accomodante accoglienza del nostro diritto a mangiare vegan.
Nei ristoranti vegani raramente si parla degli Animali morti ammazzati nella nostra società, né si fa attivismo. Si accoglie tanto l’animalista convinto, quanto chi (indossando Animali morti) vuole sperimentare per una volta “questo nuovo trend del mangiare a base di soli vegetali” e che non avverte minimamente l’incongruenza di ciò che indossa e delle sue scelte rispetto a ciò che quella “nuova maniera di alimentarsi” dovrebbe proporre.
Cosa e dove abbiamo sbagliato?
Il problema enorme è che questa ondata di agevolazione della reperibilità di prodotti vegani (che poi, abbiamo veramente bisogno delle “salsicce” vegetali? Non basta mangiare tutto ciò che di vegetale la natura ci mette a disposizione?) ha dato appunto a molte/i l’impressione di aver fatto dei passi in avanti e di star ottenendo risultati, per cui quasi tutte le forme di attivismo che si stanno portando avanti oggi si stanno riducendo alla sola informazione sul veganismo. Che va benissimo per far capire alle persone che smettere di sfruttare gli Animali non significa rinunciare a mangiare bene o a vestirsi con gusto, ma è assolutamente insufficiente a rendere visibile l’enorme e tragica questione dell’olocausto animale.
Non possiamo pensare di risolvere lo sfruttamento degli Animali partecipando ad aperitivi vegani o regalando panettoni vegani ai nostri cari per Natale, per fargli vedere quant’è bello mangiare “senza morte nel piatto”. Quello che dovremmo fare è mettere in piedi campagne abolizioniste e liberazioniste – anche specifiche, ossia focalizzate, a combattere di volta in volta determinate pratiche di sfruttamento – fare pressioni politiche ben mirate, e attuare le varie forme di disobbedienza civile che possano veramente dare il metro e il senso delle proporzioni e del significato della nostra battaglia: che non è e non può risolversi nella conquista di sempre più numerose gelaterie vegane nelle nostre città. In poche parole dovremmo impegnarci per innalzare il livello di lotta, giacché non è nostro fine combattere gli onnivori, ma le pratiche di dominio che consentono lo sfruttamento del vivente.
Ma davvero vogliamo barattare il senso di una rivoluzione così radicale come quella che dichiara negli intenti di decostruire l’attuale società basata sulla sopraffazione e sullo sfruttamento e morte di individui senzienti, con l’ultima marca di burger vegani? Stiamo svendendo le nostre richieste per un panino al tofu in più.
Sarebbe al limite comprensibile se per ogni burger vegano prodotto ci fosse un Animale in meno ammazzato. Ma non è nemmeno così. Innanzitutto perché appunto l’economia basata sullo sfruttamento degli Animali subirebbe uno scossone solo se realmente si raggiungesse la determinata soglia critica, per cui a un calo delle vendite seguisse un calo della produzione (al momento piuttosto gli allevatori continuano a ricevere incentivi dai vari governi oppure trasformano la loro produzione in maniera tale da costituire nuovi bisogni); poi non è così perché appunto, se non si lavora proprio per sradicare totalmente anche il solo pensiero che sia legittimo sfruttare gli Animali, burger vegani o meno, si troverebbe comunque sempre la maniera di continuare a schiavizzarli, e non è parlando di “stile di vita vegano” che si può pensare di mutare nel profondo una cultura millenaria (che va decostruita nei suoi tanti aspetti, quindi non solo economici, ma culturali e sociali in senso esteso, passando quindi anche per la rielaborazione del mito, la letteratura, il linguaggio, la politica ecc.).
Se da una parte è vero che il sistema avrebbe comunque reagito cercando di depotenziare le nostre istanze, assimilandone gli aspetti più superficiali per darci l’illusione di aver raggiunto determinati traguardi, dall’altra è anche vero che in parte questa possibilità gliel’abbiamo fornita noi su un piatto d’argento. L’abbiamo fornita continuando a parlare di veganismo salutista (come se ciò che ci interessasse sia la nostra salute e non la liberazione degli Animali non umani), sorreggendo striscioni con su scritto “vivisezione falsa scienza” (come se il punto fosse l’esattezza o meno di questa scandalosa e sanguinaria pratica e non la sua totale inaccettabilità etica), esultando per ogni ristorante vegano aperto (come se, in maniera inversamente proporzionale, per ognuno di essi avesse chiuso uno dei tanti allevamenti) e, in generale, dedicando, in quanto attivisti, troppo tempo a organizzare aperitivi vegani anziché a realizzare campagne, manifestazioni, proteste o investigazioni capaci di scuotere veramente la collettività e quindi di veicolare messaggi dal forte contenuto e impatto politico.
Per inciso, non si sta qui criticando l’operato di chi fa sensibilizzazione e informazione sul veganismo, o di chi si spende in iniziative per socializzare e creare anche una rete di attiviste/i che si incontrano in situazioni anche, perché no, piacevoli, bensì la brutta china di indolenza che sta prendendo il movimento in Italia. Si vuole incitare quindi a riprenderci spazi politici, sulle piazze e altrove, oltre ai bar e ai locali alla moda; a fare richieste politiche forti in direzione della chiusura degli allevamenti e di tutte quelle pratiche e luoghi lesive della dignità degli Animali.
Non ci dovrebbe interessare il locale vegano, se accanto continuano a restare in piedi la macelleria o la pellicceria.
Quello che auspichiamo in un futuro prossimo è di lavorare per realizzare quindi più azioni dirette per la liberazione degli Animali, e per combattere lo specismo nei suoi innumerevoli effetti (anche sotto forma di campagne e investigazioni mirate, nonché di attenzione critica verso tutta una cultura e linguaggio che rafforzano il concetto che sia legittimo dominare gli Animali), e meno per il “popolo vegano”. Ci siamo dimenticate/i di essere soltanto strumenti e portavoce di questa lotta e abbiamo relegato ancora una volta sullo sfondo i veri Soggetti coinvolti, ossia gli Animali non umani.
Rita Ciatti
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E’ bello quello che l’articolo chiede però non è così. Noi viviamo in una società che il normale è uccidere per vestirsi, mangiare, divertirsi, ecc.. Per questa Società gli anormali siamo noi ed è impensabile oggi cercare di fare tutto e subito. Pensate un po’ se Rita Ciatti (l’autrice dell’articolo) domani diventasse Presidente del Consiglio o Ministro delle Politiche Agricole, secondo voi se presentasse un decreto per abolire gli allevamenti intensivi in Italia, cosa accadrebbe… ve lo dico io, tempo qualche settimana e dovrebbe dimettersi.
Il Mondo non è ancora pronto e ci vorranno ancora molti secoli per poterlo cambiare. L’articolo è bello, ma serve soltanto per far sognare.
Caro Luigi,
Chi non ha sogni o ideali da perseguire difficilmente cambierà mai qualcosa non credi?
In ogni caso una persona antispecista che sia coerente con le sue idee non diventerà mai Presidente del Consiglio o Ministro, quindi il pericolo delle dimissioni non esiste.
Condivido totalmente l’articolo. Le ragioni salutistiche e le altre citate non hanno nulla a che fare con l’obiettivo che si tende ad offuscare: la liberazione dei fratelli non umani, il resto è il nulla.
Io non ho capito con chi ce l’hai. Perchè hai scritto questo articolo? A chi stai parlando? Forse sei un pò stufa del tuo ambiente e dei suoi riti mondani, e cerchi di razionalizzare un pò troppo il fatto che, appunto, sei stufa (è umano, lo facciamo tutti a volte, soprattutto quelli di noi come te,che si sono presi l’immane incombenza di dare un nuovo ordine al mondo senza sterminare nessuno, come voleva fare Baffetto). Altrimenti non si vede perché ti lamenti del brodo grasso (oops, ho detto “brodo”, chiedo scusa alle galline. Scherzo…). Sono decenni che gli attivisti si battono per gli animali, lo fanno in tutti i modi possibili e con tutte le sfumature immaginabili. Ovvio che, dagli e dagli, questo messaggio si sia diffuso e sia passato in più vasti strati della popolazione. E sai bene che quando un messaggio si diffonde a vasti strati della popolazione, uno, si degrada anche molto e, due, c’è sempre qualcuno che ci salta su per fare profitto. Pensi che tutti i comunisti ai tempi di Lenin avessero mandato a memoria “Il Capitale”? Ma dai, non puoi essere tanto ingenua. Alle masse spetta il ruolo di cartilagine, agli intellettuali quello di neuroni del corpo sociale. Che piaccia o no. Perciò, non ti scandalizzare troppo se la gente non va oltre il “mmh, che buono lo spezzatino di soia” “veh, si è aperto un nuovo vegano, ci andiamo venerdì sera? Ho proprio voglia di stare un pò leggera, sai, la prova costume incombe”. Ma che ti aspetti dalla media delle persone? I tempi di reazione, soprattutto quando si ha a che fare con sesso cibo denaro, sono biblici. I cattolici cominciano solo ora a riconsiderare il celibato dei preti, che avevano imposto in risposta a Lutero. Le donne più ricche del Regno Unito (mica il Congo) lo sono grazie ai loro divorzi miliardari, e non al loro talento. Annàmo bene… In Pakistan l’ennesima donna è stata lapidata dalla folla dove c’erano anche suo padre e suo fratello che prima le ha sparato, l’ha mancata e poi l’ha finita a mattonate.Continuo? No. Questo per dire: moriremo senza aver visto nemmeno lo 0,1% dei nostri obiettivi realizzati. Non possiamo fare altro che continuare a batterci in tutti i modi senza abbassare mai la guardia e senza mai perdere la bussola, sopportando quantità enormi di frustrazione. E non dimenticare che la misura del tuo successo te la dà anche il vedere quanto gli altri riescono a balbettare il tuo nome, oltre che il vedere che le cose cambiano. Ora le masse balbettano “vegan”, domani – se non stiamo tutti attenti – potrebbero balbettare “halal”. A proposito, qualcuno si ricorda che alla Coop, qualche lustro fa, avevano cominciato a diffondersi i banconi di carne fresca riservati ai musulmani? La Coop, mica Esselunga. Questa tendenza non ha dilagato. Per fortuna? No, non per fortuna ma anche grazie a te, e a tutti quelli che ogni giorno rompono i maroni all’umanità con l’animalismo.Dai.
Ciao Daniela,
Tu scrivi “Non possiamo fare altro che continuare a batterci in tutti i modi senza abbassare mai la guardia e senza mai perdere la bussola, sopportando quantità enormi di frustrazione”.
E’ esattamente quello che Rita sta facendo, e lo dimostra anche attraverso il suo articolo, quindi perché chiedersi il motivo di questo articolo? Appunto è una questione di bussola.
Caro Veganzetta, purtroppo l’unico modo per cambiare il Mondo è cambiare le leggi.
Queste non si cambiano da oggi al domani (specialmente quelle speciste), ma lentamente con il cambiare delle coscienze, perché sono le coscienze a cambiare le leggi. Se in Parlamento fossero tutti cacciatori secondo te la caccia verrebbe mai abolita?
Gli ideali ci devono essere per forza, altrimenti non cambierai mai nulla. Ma il cambiamento, come ho detto, è lento e credere di cambiare tutto e subito è dannoso perché in questo modo la salita sarà ancora più ripida. Per far consumare meno carne devi parlare con le persone e non far chiudere una macelleria.
Spero di aver spiegato la mia posizione perché dalla risposta che ho ricevuto da Veganzetta ho capito di essere stato frainteso.
Saluti vegani a tutti.
Le leggi caro Luigi sono strumenti necessari per regolamentare un sistema sociale, e niente di più. Se il sistema è ingiusto, violento, specista, le leggi saranno dello stesso tenore. In ogni caso una legge funziona se rispettata, e per farla rispettare deve esserci la minaccia di una conseguenza, una punizione, o quantomeno un evento negativo, quindi è moralmente inaccettabile che si possa avviare un cambiamento costringendo le persone a obbedire a una legge, e non obbedendo semplicemente alla propria coscienza.
Direi che Veganzetta ha risposto a Luigi e Daniela dicendo esattamente quello che avrei detto io, manco mi avesse letto nel pensiero. :-)
Esatto, non diventerei mai presidente del consiglio, né semplice deputata e nemmeno candidata alle elezioni perché non mi interessano i ruoli di potere. Senza immaginazione e capacità di sognare una società diversa staremmo messi veramente male, peraltro io invito all’attivismo serio, fatto in un certo modo, non certo a sonnecchiare sul divano. ;-)
Daniela, il senso del pezzo è proprio quello di continuare a batterci mantenendo alta la soglia di vigilanza critica, senza illuderci che questa “ondata” del vegan sia il sintomo di qualche cambiamento più radicale, come di fatto non è. Mi rivolgo a chi appunto invece pensa che parlare di veganismo salutista in tv sia un traguardo e ti assicuro che sono in molti a pensarla così, per questo ho sentito l’esigenza di mettere nero su bianco certe riflessioni.
Tu scrivi: ” ora le masse balbettano “vegan”, domani – se non stiamo tutti attenti – potrebbero balbettare “halal”.”
Appunto, è proprio per scongiurare questo pericolo, ossia che la parola vegan sia solo la parola trendy del momento, che mi son sentita di fare un po’ il punto della situazione.
Grazie a tutti e due per i vostri commenti. :-)
Un saluto.
Bene, allora ho capito male io, chiedo scusa e sono contenta se ho capito male
Ciao Daniela,
Hai fatto bene a esprimere il tuo parere, comunque magari sarà direttamente Rita a risponderti e a fornirti il suo punto di vista
Articolo eccellente che inoltrerei alle autorità competenti per far si che diventi legge, sperando il mio non sia un sogno!
P.S.: @ Luigi
Purtroppo il cambiamento delle leggi non dipende sempre dal volere delle persone e l’esempio della caccia che hai portato è quanto mai emblematico. In Italia più della metà della popolazione è contraria, (non ricordo la percentuale esatta) però nessun politico fa proposte di legge serie per abolirla (non si riesce manco a fare il referendum) perché la lobby delle armi è potentissima e perché ci sono regioni con un alto numero di cacciatori e di attività che ruotano attorno alla caccia (ristoranti ecc.) che rappresentano un capiente bacino di elettori e che come tali vanno accontentanti.
Sono le lobbies, i media, le multinazionali che gestiscono il mondo, non la gente comune, il cui volere è quasi sempre manipolato ad arte.
I cacciatori si inventano continuamente nuove scuse per poter sterminare le cosiddette specie definite in “sovrannumero” e le regioni appoggiano volentieri questi piani di sterminio perché appunto accontentano il mercato delle armi e tutto ciò che ne deriva in termini di guadagno e potere, mercato che poi ricompenserà con l’appoggio a questo o quel politico o schieramento.
salve, ho letto l’articolo, mi trova perfettamente d’accordo sul fagocitamento che il sistema consumistico fa su qualsiasi istanza umana che raggiunga i numeri di una pur nicchia di mercato. E’ già successo con l’agricoltura biologica: quando nell’85 raccogliemmo le firme per una norma a difesa di chi lavorava la terra nel rispetto dei cicli naturali furono inseriti nella richiesta una decina di punti essenziali che riguardavano la cura del suolo, la scelta di piante resistenti ed il rispetto della biodiversità vegetale ed animale quale unica portatrice di equilibrio. Oggi il contadino convenzionale che vuole passare al biologico deve solo cambiare i prodotti della sua farmacia: fertilizzanti e veleni di origine vegetale anzichè di sintesi chimica, lasciando inalterata l’ottica di sfruttare la terra per ricavarne profitto. E’ la stessa cosa che sta accadendo per il mondo Vegano e credo sia un processo ineluttabile. Però voglio anche dire che la spinta che ha dato il dispiacere nel vedere una propria creatura mangiata dal sistema ha creato nuove strade: tutti noi che partecipammo a quella raccolta di firme poi hanno lasciato che si mangiasse l’involucro (il termine agricoltura biologica) ed hanno trasferito la loro anima in sentieri più evoluti come per esempio quello dell’agricoltura sinergica che al momento non è stata ancora attaccata dal mostro-mercato, quando lo sarà saremo pronti a trasferire le nostre attività fuori da quest’altro involucro. E’ questo il punto che più mi preme sottolineare: le definizioni sono sempre dei vestiti che prima o poi diventano stretti a meno di cristallizzazioni dello spirito evolutivo che ci spinge sempre oltre. Liberarsi dall’involucro è anche uscire dalla dialettica contrappositiva vegano-mangiacadaveri. la vera azione è sempre propositiva e generalmente riguarda espressioni di cambiamento personali che poi di rimando per sintonia allarga la sua influenza intorno a se. Non si tratta di essere buoni con gli altri, si tratta di concentrare tutte le proprie forze nell’unica vera grande rivoluzione possibile… quella del proprio quotidiano. E ce n’è da fare!
Ok, sono stato di nuovo frainteso. Sembra, quasi quasi, come se ci volessimo ostacolare a vicenda (ad es. io contro Rita e viceversa) ma non è così. Mi dispiace, ma non so come descrivere con la tastiera il mio modo di agire e di pensare senza che questo crei fraintendimenti.
Spero che un giorno ci incontreremo, magari a qualche manifestazione, così da potermi spiegare meglio con le parole.
Quello che conta è comunque fare qualcosa e non stare soltanto a guardare.
Un caloroso abbraccio vegano a tutti.
Affermare che “il Mondo non è ancora pronto e ci vorranno ancora molti secoli per poterlo cambiare.” non fa altro che legittimare la lentezza con cui procedono i cambiamenti. Soprattutto in questo gli italiani sono bravi, a procrastinare, perché non si è ancora pronti. Quando lo saremo? Che significa non “essere pronti”? Pensiamo mica di dover ovattare tutto, preparare gli ambienti, far sedere le persone prima di far loro capire qualcosa dei motivi animalisti? Hanno bisogno di braccioli o shots di adrenalina nel caso in cui dovessero affrontare un crollo nervoso? Non è ancora tempo, si dice sempre, bisogna avere pazienza. Beh, io sono stanca.
Faccio parte di un piccolo presidio Lav e ho partecipato a vari banchetti divulgativi. Sento sempre più la pressione salirmi, quando ne organizziamo altri, il nervoso e la frustrazione, perché vorrei fare qualcosa di molto più “forte”. Distribuire libretti e bigliettini serve a poco. Quasi a niente. Perlopiù, ci guardano come alternativi vuoti di obbiettivi di vita migliori. I soldi che racimoliamo ci vengono dati da altri “alternativi vuoti di obbiettivi di vita migliori” come noi.
Rappresentiamo una nicchia fin troppo ghettizzata. Quasi dei paria, che vanno -come dice l’articolo- compresi (davvero lo fanno?), rispettati MA lasciati perdere e chi s’è visto s’è visto.
Sono stanca. Mi guardano in faccia e criticano il mio battermi per la chiusura dei delfinari: “perché non fai qualcosa per la piazza invece? guarda come l’hanno rovinata”. Ammutolisco.
Non servono materassi, cuscini della migliore fattura od anelli gonfiabili anti-emorroidi. Non sono mai serviti. E’ che abbiamo sempre dimostrato calma, disponibilità e pazienza. Da qui, il trattare tematiche importantissime come secondarie al proprio ego.
Si dovrebbe dimostrare che non è più il tempo della pazienza. Il vero cambiamento non è mai passato attraverso calmi trattati. C’è bisogno di scossoni forti, o finiremo sedati da dosi di tofu Conad e rilassanti ristorantini con interni bianchi e sparluccicanti volti ad accontentare appunto la parte meno significativa delle nostre volontà.
In definitiva, sono stanca di aver pazienza. Non voglio più esser trattata da polla.
Ciao Rachele,
Grazie per il tuo commento.
La tua stanchezza è assolutamente condivisibile, e il tuoi sentimenti sono gli stessi di molte persone che si attivano ogni giorno per spingere per un reale cambiamento radicale e rivoluzionario.
Non saremo mai pronti, e i cambiamenti avvengono per impennate improvvise, per rotture con il passato e per crolli di sistemi assurdi e ingiusti a favore di altri – si spera – migliori.
E’ importante che tu scriva ciò che hai scritto, anche perché dici di far parte di un’associazione che ha fatto della “teoria dei piccoli passi” una religione, e che è da anni al traino di chi invece spinge e lotta per cambi e salti di notevoli dimensioni.
Non si deve aver paura di offendere, di irritare o di spaventare la gente perché chi non vuole cambiare le proprie abitudini, consuetudini, credenze e tradizioni sarà sempre offeso, irritato e spaventato: è il diritto del più forte a esserlo. Noi proponiamo invece il DOVERE del più forte, che è molto diverso, e infinitamente più scomodo.
Finiremo sedati da dosi di tofu da supermercato? Forse si, forse no, se così sarà allora avremo davvero perso, ma ciò che è infinitamente più grave è che gli Animali avranno perso.
E’ nostro compito, nostro preciso dovere morale, andare avanti e proseguire controcorrente. Sempre.
Veganzetta, io ho detto la stessa cosa che dici tu. Non capisco cosa intendi con l’ultima parola “liberazione”.
Scusa Luigi ma non stiamo dicendo la stessa cosa, rileggi i commenti precedenti.
Per maggiori informazioni: http://www.manifestoantispecista.org
Ora mi sono reso conto di un particolare: non sono io che non riesco a spiegarmi, ma siete voi che non riesco a capire.
Vi dico come io vorrei il Mondo da subito: “essere per il codice penale un omicidio uccidere una formica”.
Non riesco a capire come volete arrivare a questo, il cd tutto e subito. Per me i modi per cambiare il Mondo sono: manifestazioni, proteste, volantini, petizioni, fare pressione per approvare leggi e soprattutto parlare con le persone cercando di risvegliare la loro coscienza e far capire cosa ci sia dietro, invitandole anche a cene vegane, ecc. ecc..
Luigi tu quello che proponi è un’attività animalista, Veganzetta è un sito antispecista. L’antispecismo non chiede nuove leggi, non vuole leggi: vuole cambiare totalmente un sistema ingiusto, crudele e violento. Ciò che si deve fare è protestare, rappresentare chi non ha voce, spiegare alla gente ciò che significa questa società, fare propaganda e convincere le persone a cominciare un percorso di autocritica, di consapevolezza e di liberazione animale. Gli Animali non si salvano con le leggi, con le abolizioni, ma con la liberazione.
Ah dimenticavo, la prima cosa da fare in assoluto è diventare vegani per etica.
Certo il titolo è piuttosto provocatorio, ma ringrazio per queste riflessioni sicuramente sempre molto utili. Sono vegana etica da circa venti anni e attivista e fondatrice di Progetto Vivere Vegan (www.viverevegan.org) e di Campagne per gli Animali (www.campagneperglianimali.org). Questo per dire che concordo sul fatto che comunicare in favore degli altri Animali deve rimanere il nostro compito primario.
Ma le questioni sono complesse, abbiamo a che fare con la maggioranza delle persone che non è minimamente interessata a fare qualcosa per gli Animali e tanto meno a costruire una società antispecista.
Così, mentre noi continuiamo a lavorare per diffondere l’etica vegan, ben vengano la paninoteca “vegan”, il ristorante “vegan”, il negozio di scarpe che vende marchi etici, l’aerino vegan… Perchè comunque il mondo va avanti e la gente continua a mangiare e a comprare…
Noi “vegani etici” abbiamo un’ideale da affermare ma dobbiamo anche vivere e lavorare per vivere. Non trovo niente di male se cerchiamo di portare avanti entrambe le cose. E sicuramente non dobbiamo mai trascurare il nostro obbiettivo: abolire la schiavitù degli Animali (e non solo).
Certo la comunicazione è fondamentale e per questo dovremmo sempre impegnarci molto per far arrivare il messaggio corretto. Però non facciamo l’errore di dare la colpa a noi stessi se non cambiano le cose per gli Animali. Cerchiamo piuttosto ognuno nel nostro piccolo di impegnarci come meglio possiamo: i nostri nemici non sono i vegani che mangiano salsicce di soia, lo sono quelli che mangiano salsicce fatte con i corpi di esseri senzienti allevati ed ammazzati.
Da poco più di un mese, con una collega, Ilaria Beretta, abbiamo dato vita ad un nuovo portale: http://www.paginevegan.it, perché crediamo che sia importante che chi è nel mondo del lavoro e lo fa nel rispetto di tutti gli Animali, sia sempre più visibile e apprezzato. Sostenere con le nostre scelte aziende etiche e professionisti vegani è un modo per cambiare le cose. E’ un modo, non l’unico, forse non il migliore, ma concreto.
Cara Dora,
Grazie per il tuo commento.
Il tuo punto di vista è sicuramente comprensibile, ma proprio perché tu dici – giustamente – che la comunicazione è fondamentale, e perché bisogna portare avanti entrambe le cose, c’è da sottolineare che se in qualità di vegani etici possiamo concepire quanto ti affermi, non è affatto scontato che chi è vegan per altri motivi lo faccia. Il rischio è quello di svuotare di contenuti un grande contenitore che il il veganismo, facendolo divenire un’opportunità per il sistema economico di avere nuovi consumatori. Quindi avanzare una critica, e anche fare autocritica, non dovrebbe essere un male, anzi dovrebbe essere uno stimolo per poter continuare nel nostro lavoro.
Un abbraccio
Il Manifesto mi vede pienamente d’accordo. Per me il rispetto della vita e del Pianeta vengono prima di tutto.
Tu scrivi che non stiamo dicendo la stessa cosa, io invece dico di sì. C’è solo una differenza: io dico che ci vuole tempo e tu dici che deve essere fatto subito.
Io quando dico che ci vuole tempo per cambiare c’è sempre qualcuno che si arrabbia, però io non riesco a capire come farete voi per cambiare il Mondo tutto e subito, ma vi rendete conto di cosa c’è dietro? Di quali interessi economici, di quali potenze che fanno il bello e cattivo tempo, che manipolano tutto e tutti a loro piacimento?
Secondo me volendo tutto e subito, voi alzate un muro e dall’altra parte si alzerà un altro muro.
Ripeto solo cambiando le coscienze delle persone (cosa molto, ma molto difficile e che ci vorrà molto, ma molto tempo) si riuscirà a cambiare il Mondo, ma non per questo si deve prenderla con comodo. Quindi io non dico di prendersela con comodo, ma di muoversi, di fare informazioni, petizioni, manifestazioni, ecc. ecc..
Ora vi ho detto come la penso io e quello che sto facendo per cambiare sto schifo di mondo e mi piacerebbe capire cosa intendete per tutto e subito e cosa farete di così penetrante nelle coscienze umane per ottenere in breve tempo un Mondo veramente libero per tutti, animali umani e non.
Ciao
Caro Luigi,
Dal tuo punto di vista tu hai ragione: noi abbiamo tutto il tempo e la pazienza per fare come tu hai descritto nel tuo commento, ma se proviamo a usare la compassione che non dovremmo mai dimenticare – nei confronti degli Animali, la domanda è: loro hanno tempo? Possono avere pazienza? Stiamo parlando di miliardi di esseri senzienti che muoiono di continuo, ogni giorno.
Quindi se dal punto di vista strategico tu hai ragione, da quello etico non puoi averla: noi non abbiamo tempo e non possiamo avere pazienza.
Setto questo ciascuno in coscienza fa ciò che ritiene giusto e utile, basta che lo faccia
sono d’accordo con daniela martino.
noi siamo i neuroni e le masse sono cartilagine.
accettiamolo, trainiamole verso una rivoluzione.
I bambini delle elementari non vanno a scuola perchè ne riconoscono l’importanza ma perchè trascinati. All’università però ci vanno di spontanea volontà. Cosa è cambiato? Il tempo, l’esperienza.
Il popolo è un bambino, lasciamolo crescere, e intanto, portiamolo per mano, rispondendo: “si, tesoro, la prova costume…”
Caro Veganzetta, io proprio non riesco a capire. Più di fare manifestazioni, informazioni, entrare nelle scuole d’infanzia, elementari, medie e alcune volte superiori e università, fare petizioni, informare parlare con le persone, informare i massmedia, ecc. ecc., secondo voi che cos’altro si potrebbe fare? Questo vorrei capire.
Anch’io non ho pazienza (mi hai descritto come un menefreghista) vorrei che tutto finisse subito, ma io mi rendo conto che ciò non è semplice. Come dite voi sembrerebbe che in circa 10/20 anni (voglio dare un arco temporale) riusciremo a sradicare il Male dalla Terra, mentre io credo che ci vorranno molti cambi di generazioni.
Mentre si sta discutendo sono stati massacrati circa 165.000.000 di animali non umani e chissà quanti animali umani (per guerre, per fame, per assunzione di farmaci velenosi per l’umano e che invece hanno superato i test sugli animali, per… e per…). Secondo voi un Mondo così, pieno di egoismo, dove se alla maggior parte delle persone dici “io sono vegano” e dopo che hanno capito il significato di “vegano” ti guardano come se fossi un extraterrestre senza cervello basteranno 10, 20, 50 o 100 anni per cambiare?
Io direi di chiuderla qua, almeno con me, perché io non voglio né criticarvi e né mettermi contro, io voglio solo far finire l’olocausto animale umano e non e collaborare con chi come me rispetta la vita di tutti. L’importante è cercare di informare la maggior parte delle persone con qualsiasi mezzo.
Caro Luigi,
Grazie per i tuoi contributi che sono utilissimi.
Speriamo di avere la possibilità in futuro di incontrarci di persona per spiegarci e comprenderci meglio.
Sono d’accordo con Dora. Aggiungo che Progetto Vivere Vegan è stupendo. E Pagine vegan idem. Sono concreti, tangibili e diretti: una luce nelle tenebre.
Vi siete mai accorti di cosa succede quando una persona cerca di diffondere le proprie idee ad altri? Nella maggior parte dei casi, il potenziale ascoltatore non si pone nella posizione di valutare obiettivamente i contenuti e le idee espressi ma soltanto, a priori, di stabilire il livelo di autorevolezza dell’oratore. Se l’oratore viene ritenuto, a priori, affidabile, la gente è disposta a credere a qualunque assurdità possa egli affermare; se invece l’oratore viene ritenuto, a priori, inaffidabile, potrebbe dire anche le cose più evidentemente sagge, comunque non verrebbe ascoltato. Anzi, la più probabile reazione sarebbe il disprezzo. A tutto discapito delle idee che cerca di trasmettere.
L’articolo dice sicuramente cose giuste ma non tiene conto di questa semplice realtà. Fino a qualche tempo fa il vegano era considerato dalla gente “normale” come un demente bacchettone, denutrito, malaticcio, triste ed incapace di godersi la vita, appartenete ad una setta di moralisti rompipalle, più o meno come una sorta di testimone di geova. Di certo non una fonte autorevole da ascoltare ma solo un poveraccio da compatire, se non addirittura uno scemo da umiliare o un maniaco da evitare.
L’avanzata della moda vegan sta per lo meno rimettendo a posto l’immagine di noi vegani agli occhi del mondo “normale”, cioè contribuisce a rendere accettabile ed accettato il fatto di essere vegan. Il chè è il primo fondamentale passo per poi riuscire a farsi anche ascoltare. Certo non basterà questo, ma è senza dubbio un passaggio necessario. Perciò smettiamola di stracciarci le vesti e di autoflagellarci. Semplicemente non dobbiamo accontentarci: fatto un passo bisogna prepararsi per fare il successivo.
Ciao Eddy,
Grazie per il suo commento.
Molto brevemente due cosinderazioni:
1) Per comunicare con gli altri e convincerli di qualcosa non è necessario diventare come loro, altrimenti non ci sarebbe alcuna novità o nuovo punto di vista da comunicare.
2) Ciò che ti chiami “rimettere al passo” è un processo di normalizzazione e inglobamento delle istanze vegane nel mercato, non è la stessa cosa, ma è una sorta di semplificazione estrema ad uso e consumo delle aziende, del commercio e dei consumi.
3) L’avanzata in corso è quella del mondo vegan trendy e salutista che poco o nulla sa di etica, quando le persone saranno disposte ad ascoltare chi di loro sarà in grado di dire qualcosa sulle tematiche animaliste e antispeciste?
4) Non è affatto sicuro che questo passo sia bella direzione giusta. Nicola Ciccarelli ha fatto un esempio ezzeccatissimo: la fine che ha fatto l’idea della coltivazione bio.
Chi è diventato vegan per scelta etica, non può far a meno di essere in una qualche forma un ”attivista”, per il semplice fatto che da sempre è stato contrastato ed è quindi un lottatore nato. Il coraggio di portare avanti scelte non facili l’ha dovuto avere o trovare. 20 anni fa non era certo come adesso, qualcuno di voi lo sa bene. Chi lo era al principio continuerà a lottare ogni giorno nel suo piccolo. Chi lo è diventato in ‘tempi non sospetti’ ha provato su di sè per sopravvivere che l’antispecismo (che deve comprendere anche la lotta allo sfruttamento delle risorse ambientali e degli animali umani) agisce come un cavallo di troia (altrimenti tutti gli antispecisti sarebbero degli emarginati). Il sistema si scardina dall’interno oggi giorno. Diffondendo e supportando una consapevolezza verso un CONSUMO CONSAPEVOLE. Ogni azione compiuta dal singolo apporta conseguenze in tutto il sistema. La grande distribuzione coglie i segnali di ciò che i consumatori (ognuno di noi) chiede. Sono aumentate le vendite dei prodotti bio come sono nati prodotti vegan, in risposta alla richiesta. Il consumo di carne di contro lentamente decresce. Chiaro è che se un prodotto bio è infarcito di olio di palma e le persone lo acquistano…non sarà un gran risultato, un po’ come la parafarmacia vegan. Ma qui subentra un discorso troppo ampio per essere trattato in questa sede.
Fino a quando la terra non sarà popolata da esseri illuminati che si fanno carico della propria responsabilità come agenti consapevoli della conseguenza delle proprie azioni, troveremo sempre qualcuno al banco macelleria che guardando l’agnellino in vetrina dirà ‘povero piccolo, che pena…me ne tagli mezzo …è così buono!’ (frase udita la scorsa Pasqua).
Ben venga di contro, che si creino occasioni e possibilità di diffondere la cultura vegan, anche a chi non la coglie come scelta etica ma come uno ‘stile di vita’ che però sperimenta e prova su di sé. Occorre che le persone provino sulla loro pelle e nelle loro membra che possono vivere anche mangiando e vivendo diversamente da come da sempre sono state abituate, occorre che sentano qualcosa che cambia nella loro struttura cellulare, che li faccia scegliere (e sarebbe già molto..) di acquistare da uno scaffale un prodotto piuttosto che un altro.
Il cibo è qualcosa di estremamente emotivo e viscerale, l’odore di alcuni piatti e il radicamento di certe abitudini nasce e cresce ad un livello molto profondo ed ha ben poco a che fare con un dibattito intellettuale e controversie dialettiche. Moltissimi ad esempio, benchè eticamente spinti verso determinate scelte, temono l’esclusione dal ‘gruppo’ perchè vivere vegan resta comunque ancora ‘essere un poco strani’.
L’aspetto importante, dal mio punto di vista, è di UNIRE LE FORZE. Il mondo si cambia con visioni nuove e sogni, in TANTI, con una motivazione etica che muova il sentimento e l’azione, con una nuova visione di condivisione e collaborazione. Questo può avere la forza di scardinare le basi economiche su cui si basa la situazione attuale, perchè noi …ognuno di noi, ogni giorno sfrutta e viene sfruttato.
Noi vegan viviamo in un mondo di compromessi, ogni momento.
Non siamo dei puri, siamo persone che hanno deciso di non sfruttare gli animali, viviamo nel mondo in mezzo a persone che invece, spesso senza neanche avere idea che esiste un alternativa possibile, lo fanno tutti i giorni.
Ma solo nell’energia propositiva che sprigioniamo, nella prosperità del nostro essere possiamo veramente contagiare ciò che ci circonda.
@Veganzetta:
Concordo. Infatti non ho affermato che dovremmo diventare “normali”, ma che è necessario essere accettati e visti come normali per poter poi essere anche ascoltati senza quei pregiudizi che rendono impossibile una comunicazione efficace. Mia opinione, per carità, ma non mi sembra poi tanto improbabile
Se leggi bene non ho scritto “rimettere al passo” ma “rimettere a posto”. Comunque il sistema capitalista inesorabilmente ingloba tutto quello che trova, è squallido ma non c’è scampo, non appena diventi visibile qualcuno pensa che potresti essere un buon businnes e dobbiamo farci l’abitudine. Se non vogliamo essere svuotati dal sistema è sufficiente mantenere il nostro impegno saldo e dritto, perchè una cosa di sicuro non può essere messa in vendita nè diventare businnes: la dignità che noi proponiamo senza se e senza ma.
A mio parere lottare per un mondo più etico e compassionevole non è intrisecamente contrario a propagandare uno stile di vita più salubre. Ritengo che si tratti di due istanze altrettanto buone perciò non mi sento affatto di criticare chi propone un’idea vegana per scopo dietetico. E poi come ho già affermato, anche senza volerlo ci danno comunque una mano sdoganandoci e tirandoci fuori dal ghetto rispetto all’opinione pubblica.
Purtroppo non ci sono mai certezze in queste cose. Meglio comunque evitare di crearci dei nuovi nemici perchè ci hanno “rubato il brand” per scopi diversi dai nostri.
Io non sono così pessimista a riguardo. Pur con tutte le debite precauzioni, secondo me questa cosa è positiva. Ma non voglio di sicuro polemizzare con chi la la vede negativamente, come l’autrice dell’articolo, perchè capisco bene anche le sue ragioni. Vedremo.
Ciao :)
Questa “moda” del momento può essere certamente negativa ma rispetto alle altre una persona può avvicinarsi per caso e apprendere che si può vivere benissimo non mangiando alcun animale. Credo che il primo pensiero che balena nella testa di chi è onnivero è quello che senza carne si è deboli e malconci, di conseguenza se ci sono più vegani e più ristoranti, gelaterie ecc. la persona media può pensare che forse si può vivere bene anche senza carne. Il secondo pensiero che sicuramente ferma gli onniveri a cambiare è il gusto, il cibo ai giorni nostri non serve solo come carburante per vivere nel pieno delle forze ma è visto da molti come il primo antidepressivo. Quando si parla di vegani la prima cosa che viene in mente ad un onnivero è la classica insalata, per questo credo che anche gli hamburger di soia o le salsicce di tofu possono far capire al classico onnivero che l’alimentazione vegana è più variegata di quanto può pensare.
Detto questo sono contrario alle mode e ai cibi riconducibili alla carne ma per cambiare l’uomo credo si debba passare anche da questo. Non siamo tutti uguali e non cibarsi di animali “solo” per questo scopo implica un cambiamento dello spirito notevole, un cambiamento di mentalità e di idee non indifferente, e cambiare non è facile.
In conlusione credo che in questo caso la moda può essere positiva e porterà comunque a salvare degli animali e fin quando ciò accade, consapevolezza o non, sono comunque contento.
Grande e potente messa a fuoco sul panorama vegano e più ampiamente sul fronte animalista.
Finalmente tante perplessità vengono considerate e messe in risalto.
Gran bell’articolo,non cambierei neanche una virgola!
Ps le farmacie vegani so o di per sé una contraddizione in termini,visto che ogni prodotto posto in vendita è comunque macchiato di sangue animale.
Ciò denota come siano veloci nel cogliere il marketing,che è il loro obiettivo primo e ultimo,mascherato da tutela della salute pubblica.
Non sono scienziati o benefattori,..solo meri affaristi senza morale!
Grazie a tutti per i commenti.
EddyEd, purtroppo quello che sta avvenendo è che si parla sempre di più dei Vegani e mai degli Animali. Capisco che sia importante che si cancelli l’idea falsata che si era diffusa di noi vegani, ma non è sostituendola con quella del “vegano modaiolo” che riusciremo a farci ascoltare.
Gli Animali dove sono?
Quest’articolo era proprio quello che ci voleva.
Anche io da mesi sento parlare, soprattutto onnivori, di quanto siano entusiasti per aver provato il ristorante vegano, la marca di cosmetici non testata su animali, il vestito comprato dalla linea di abbigliamento vegan ed aver avuto diciamo un assaggio di quello che sia il vivere da vegan; tuttavia anche a me queste cose rendono felice perché mi fa piacere che la “cultura vegan” venga accolta da sempre più persone e non tacciata di estremismo, come mi fa piacerissimo mangiare fuori e scoprire che ho a disposizione delle alternative senza carne e derivati, però non mi soddisfa assolutamente.
Come dice Rita, non solo essere vegan non è il punto d’arrivo bensì l’inizio, ma così rischia solo di diventare il nuovo gingillo al servizio della massa alla ricerca di novità alla moda ed usa e getta, per poi gettarle via come tutto il resto.
Il burger vegano, il vestito e le scarpe della marca vegan, il cosmetico cruelty-free non sono altro che gingilli secondo me, fondamentalmente, del nuovo trend “vegan”. Ben venga che ci siano, non fraintendetemi, ma servono a ben poco.
Cara Dora,
quello che volevo dire è che la lotta per la liberazione animale è qualcosa di molto più complesso della sola sensibilizzazione sul veganismo e che implica un enorme lavoro di decostruzione dell’attuale società specista. Bisognerà arrivare a un punto in cui sfruttare gli animali non umani e considerarli inferiori – meri oggetti alla nostra portata per farci quello che ci passa per la testa – non sarà più considerato accettabile.
Per questo dico che l’attuale ondata del veganismo inglobato dalle logiche di marketing e fatto passare per una nuova maniera di alimentarsi – ponendo quindi l’accento sui noi vegani come se fossimo i precursori di un nuovo stile di vita e non individui che criticano il sistema e le sue logiche di dominio – rischia di non arrivare al cuore della questione.
Secondo me non si capisce bene, attualmente, e nonostante si stia parlando molto di veganismo, tutto il discorso politico che c’è alla base della scelta vegana. Non si capisce che vogliamo abolire il dominio, lo sfruttamento, in poche parole il sistema all’interno del quale ci troviamo ad agire come automi secondo determinate logiche di prevaricazione.
Quello che sta passando è: esistono i vegani, persone che hanno scelto di nutrirsi di vegetali, punto. Loro hanno fatto quella scelta, noi continueremo con la nostra. Loro sono animalisti, noi no. La gente purtroppo ragiona così. Come se fossimo degli zoofili. Ossia persone amanti degli animali e basta.
Invece quello che dovrebbe passare è: esiste un movimento che lotta per liberare gli animali. Esistono persone che stanno mettendo in discussione le logiche di dominio nell’attuale società. Di questo si dovrebbe parlare, non della nuova gustosa ricetta vegana.
E questo ovviamente senza nulla togliere a progetti fantastici come quelli che hai fondato e porti avanti, che sono ovviamente ottimi per sensibilizzare.
Caro Kappa,
certamente la responsabilità individuale è fondamentale, ma da sempre le battaglie di liberazione (di ogni tipo, penso a quelle per liberare gli schiavi dall’assoggettamento all’uomo bianco o le donne dall’assoggettamento al potere patriarcale ecc.) si portano avanti avanzando richieste ben precise e facendo pressioni politiche e sociali forti.
Inoltre scardinare il sistema dall’interno è molto difficile perché esso per sua natura rende impossibile la comprensione di certi fenomeni in cui restiamo invischiati sin dalla nascita e perché tende a “naturalizzare” quelli che sono meccanismi creati ad arte.
Sì, è vero che il cibo è importante perché ad esso si legano tutta una serie di emozioni e ricordi legati al nostro vissuto, quindi è importante far capire che mangiando vegano non si rinuncia a certi sapori ecc., ma quando sin da bambini assistiamo a pubblicità in cui la mamma dà la simmenthal al bambino con tanto amore – facendo in modo che il piccolo associ per sempre l’affettività a quel piatto – diventa difficile combattere il sistema a suon di ricette gustose. Per questo dico che la battaglia deve farsi più estesa, più mirata a combattere certi meccanismi mediatici e tipici del consumismo capitalista, in poche parole deve diventare una battaglia non più soltanto tesa a sensibilizzare le coscienze, ma a fare in modo che l’individuo diventi consapevole dei vari meccanismi di dominio di cui egli stesso è schiavo. Inoltre c’è da portare contestualmente avanti un discorso culturale in senso ampio per far sì che si spazzino via per sempre tutte le falsità riguardo agli animali non umani – appiattiti sotto una generica etichetta che non tiene conto delle loro irriducibili singolarità – e si faccia luce sul loro valore in quanto individui senzienti, in poche parole per fare in modo che ciò che oggi ai più appare normale – ossia sfruttarli, ucciderli, mangiarli ecc. – un giorno diventi semplicemente inconcepibile. E questo è un discorso che va oltre il veganismo.
Caro Dredo,
io penso che noi dovremmo insistere nel far capire che smettere di mangiare animali non è una rinuncia, ma una conquista perché così appunto smettiamo di renderci complici di un sistema che li sfrutta e massacra e non perché “tanto esiste la salsiccia vegana che non farà rimpiangere il sapore della carne”.
Sì, lo so, come diceva anche Kappa, che il cibo e i suoi sapori sono importanti, ma nel momento in cui si riesce a far passare il vero messaggio della liberazione animale, semplicemente si smette di percepire gli animali in quanto cibo. E non ci riusciremo a far passare il messaggio giusto continuando a insistere sul veganismo in quanto dieta o stile di vita.
E quando si parla troppo di veganismo salutista (purtroppo lo fanno molti attivisti), usandolo come argomento indiretto, il messaggio giusto non passa.
Certo che quando ci pongono domande relative alla salute bisogna anche dire che a mangiare vegano non solo non si rischia di ammalarsi, ma semmai anzi ci si guadagna anche in salute, però dovremmo batterci affinché i media non trattino l’argomento solo da questo punto di vista (addirittura mi pare che a Le Iene si sia parlato di veganismo come cura contro il cancro, ecco, io avrei preferito che si fosse parlato di veganismo come rifiuto di partecipare al massacro degli animali perché solo sensibilizzando sull’enorme ingiustizia degli allevamenti e dei macelli si faranno passi avanti).
@ Elena
Il veganismo NON è un’alternativa. Questo, oltre al fatto che si parla sempre più di vegan e sempre meno di Animali, è il punto focale. Non c’è un’alternativa da scegliere, ma una concezione di vita da cambiare. E questo alle iniziative vegan-culinarie nessuna/o si azzarda a dirlo, perché nemmeno chi le organizza ci pensa.
Comprendo la filosofia dell’articolo, ma non sono d’accordo.
Ci sono moltissime persone che non prendono nemmeno in considerazione la sofferenza animale perchè la ritengono indispensabile alla nostra sopravvivenza. Sembra la strana più lunga e più mondana, ma credo che partire dalla parte “culinaria” sia un modo per avvicinare le persone senza resistenze. Perchè una volta toccato con mano (e con palato) che è davvero possibile mangiare normalmente senza trucidare miliardi di animali, allora la riflessione sull’inutilità di creare tanto dolore si fa più spontanea. Secondo me queste iniziative, se unite ad una giusta informazione, sono molto più produttive di centinaia di foto di animali morti appesi per una gamba, che generano spesso ironia o indifferenza. E poi ben venga che ci possano essere alternative alla portata di tutti.
Cara Elena,
come ha detto Veganzetta, il punto è proprio la maniera in cui viene presentato e diffuso attualmente il veganismo, ossia come un’alternativa culinarie tra le tante e non come una presa di posizione contro un sistema profondamente ingiusto.
Molto interessante questa lunga discussione. L’articolo di Rita Ciatti è perfetto, non fa una grinza per me che la penso come lei. Tuttavia sono arcifelice che esistano le iniziative sul veganismo, prima fra tutte il citato Progetto Vivere Vegan che è incantevole proprio perché arriva alla cucina vegan partendo dalla sofferenza animale. Chi è antispecista, è vegan di conseguenza. Chi è vegan, non necessariamente è antispecista. Io sono la prima cosa, comunque sono contenta che in questo lunghissimo e tribolatissimo cammino di liberazione animale, i vegan si uniscano agli antispecisti vegan perché sono ottimista e credo che possano imparare qualcosa. Chi si informa sul veganismo, prima o poi finisce a consultare siti o libri in cui si parla di sofferenza animale legata al cibo e questo può e deve servire. Se non si è ottimisti su questa faccenda, non si va da nessuna parte e intanto miliardi di animali muoiono giorno dopo giorno. Non voglio fare la cerchiobottista ma bisogna essere uniti in questa faticosissima lotta. E’ certamente vero che il veganismo non è un’alternativa ma immagino che una persona possa iniziare così e poi prendere una strada più impegnativa, l’unica da percorrere, senza alternative.
è già qualcosa che si interessino anche solo superficialmente all’argomento. che diventi oggetto di marketing, o che attraverso il marketing, il fine ultimo si corrompa.. questo sta a chi reputa la parola “vegan” oggetto di marketing o seria “intenzione esistenziale”…
@ yeeeeah
Attraverso il marketing non si ottiene proprio niente perché il concetto di marketing è legato a doppio nodo al concetto di consumismo/capitalismo – che è esattamente tutto ciò che permette lo sfruttamento di individui senzienti, sia umani che non. Al massimo si ottiene che avremo tanti bei prodotti vegani sullo scaffale affianco al bancone della carne.
Queste non sono opinioni mie personali, basta osservare la società così come ci si dispiega davanti agli occhi per rendersene conto.
Concordo con l’articolo.
Il sistema capitalista assorbe e riproduce sotto forma di merci da vendere tutto e tutti, non c’e’ da stupirsi adesso che ne hanno parlato anche in televisione che il veganismo venga percepito come un qualcosa di lettimo e di ragionevole, stà effettivamente diventando una moda.
Qui a Grosseto 3 anni fa ci insultavano per le strade ogni volta che si facevano iniziative, abbiamo subito denunce per cose tipo un flash mob, mentre adesso si aprono un ristoranti veg, altri locali e pizzerie hanno incluso la scelta vegan nei loro menu’ chiedendoci pure consulenze e dimostrazioni, nascono dall’oggi al domani outlets specializzati in “prodotti vegani” e l’intera cosa è davvero grottesca.
Ma se osserviamo questa tendenza ( perchè di questo si tratta e non di un passaggio realmente evolutivo dei costumi e delle idee o addirittura dello sviluppo di segmenti nuovi nella galassia animalista) dalla giusta angolazione, il fatto che oggi un numero maggiore di persone abbiano una – seppur vaga – nozione di ciò che gli dico, in quanto attivista, quando si avvicinano, per distrazione, errore o noia perfino, ai nostri presidi, questo non è un ostacolo all’atto di stabilire un contatto con quella persona sul tema dello sfruttamento degli animali ma piuttosto un vantaggio.
Nell’ottica di un avvicinamento graduale al nocciolo della questione animale anche questo tipo di folclore potrebbe risultare conduttivo tra la “gente comune” ad un loro eventuale e più genuino interesse nella filosofia e negli aspetti ideologici del veganismo piuttosto che su quelli spettacolari e superficiali.
Io ho notato anche una tendenza assai più preoccupante e cioè l’allontanamento dalla militanza da parte di persone che credevo motivate a non tirarsi indietro e parlo di attivisti che decidono tutto insieme di non avere più interesse a sbattersi ” perchè tanto non cambierà mai niente”, oppure adducendo al loro disincantamento il risvegliato interesse verso altre cose, come se ad esempio “farsi l’orto per produrre i propri vegetali” come se darsi alla produzione del proprio cibo fosse in contrasto con la continuazione di attività militanti piuttosto che un ricco complemento a queste, ecco, io sono più impressionato dal riflusso che di anno in anno noto, almeno nei circoli locali che frequento, tra gli attivisti che dal giorno alla notte diventano degli ex e sembra che davvero si siano bevuti il cervello, piuttosto che dai comportamenti connotati da una certa vacua uniformazione messi in atto dalle masse le quali, per tornare all’oggetto dell’articolo, sono composte da individui che non decidono di testa propria, ma che in qualche modo eseguono ciò che li hanno programmati a fare: consumare senza farsi troppe domande.
Ciò che evidenzia Paolo è vero ed è un problema serio: la disaffezione di molte persone attiviste che nel tempo abbandonano l’impegno pubblico.
Quanto riferito da Rita sul discorso di DeRose è vero: in generale se tutte/i fossimo ancora attive/i dovremmo essere un numero considerevole, e non è così.
Alcuni attivisti di vecchia data incontrati in passato dicevano che a loro avviso la “vita media” di una persona attivista in campo animalista (e più ancora antispecista) è di circa 5 anni, poi le energie calano, comincia l’allontanamento, la disaffezione, la disillusione, il fatalismo o un cambio prospettico di interessi.
Forse è proprio così, ma c’è da sottolineare che ci sono persone che sono attive da decenni, e che continuano con la stessa energia a lottare per la causa, è interno a queste persone che si devono creare reti capaci di portare a loro nuove leve.
Non è facile fare attivismo per la liberazione animale, chi vi scrive ha avuto molte crisi negli anni (molti) di militanza, e spesso il peso della sofferenza animale è insopportabile: ci sovrasta, chi schiaccia, e fa nascere in noi un senso di impotenza annichilente. C’è chi supera queste crisi e va avanti con rinnovato vigore, chi soccombe e cambia strada. L’importante però è pensare che siamo tutte/o importanti, ma nessuno è indispensabile, e che i progetti sopravvivono alle persone se sono ben strutturati e propagandati.
Caro Paolo,
già, hai evidenziato un altro enorme problema: la poca costanza nel fare attivismo. Persone che prima ci si dedicavano giorno e notte, improvvisamente smettono di partecipare alle varie iniziative e eventi, un po’ perché demotivati e frustrati dalla strada ancora lunghissima che si trovano davanti, un po’ per divergenze ideologiche, un po’ perché non reggono il ritmo di un impegno così pressante non solo sotto il profilo pratico, ma soprattutto emotivo.
Lo scorso autunno ho avuto modo di ascoltare una conferenza del celebre attivista americano Chris De Rose e in particolare sono rimasta colpita da una cosa che ha detto: ossia che quando lui iniziò a fare attivismo, da giovane, una trentina di anni fa almeno, conobbe delle persone, attivisti come lui e poi negli anni ne ha viste tantissime altre avvicinarsi al movimento per la liberazione animale, per cui, facendo due calcoli, ne ha dedotto che se tutti avessero continuato, oggi le fila del movimento sarebbero dovute essere molto più consistenti, invece il numero degli attivisti presenti ai presidi e alle manifestazioni è sempre quello, più o meno (cambiano i volti, c’è un rinnovo delle persone, ma il numero rimane invariato). E non va bene. Oggi, rispetto agli anni settanta, dovremmo essere molti di più.
Per non parlare del numero di vegani che è contro lo sfruttamento degli animali, ma non fa proprio attivismo, niente di niente.
Tornando al veganismo, capisco quello che dici, sì, oggi tutti più o meno almeno sanno cosa significhi la parola “vegan”, il problema è che appunto pensano che si tratti solo di un’alternativa alimentare, di una dieta. Addirittura ho letto di ragazze che consigliano alle amiche di mangiare vegan per dimagrire in vista della prova costume! Non va bene…
Ne approfitto per aggiungere un’altra cosa: io non sono disfattista (come in molti hanno pensato leggendo questo pezzo, probabilmente), solo che tutta la questione animale e della nostra società in generale è troppo importante per poterci permettere di fare errori e prendere strade sbagliate, per cui meglio mantenersi vigili e critici, anziché correre il rischio di adagiarsi sugli allori.
Ho letto con piacere l’articolo e tutta la discussione che ne è scaturita.
Personalmente concordo con lo spirito dell’articolo di Rita, io per primo detesto la piega salutista e modaiola che ha investito e sta tuttora investendo il mondo vegan. Parlando con persone che non sono vegane, capita spesso che diano per scontato che la motivazione che mi ha portato a fare questa scelta sia stata di tipo salutistico: ciò provoca in me particolare risentimento, in quanto l’aspetto della salute per me è soltanto una conseguenza indiretta e non certo la ragione principale della mia scelta, che è e rimane una scelta etica e politica, un modo concreto per oppormi a questo sistema di dominio e di sfruttamento.
Detto questo, che cosa fare? Durante il mese di maggio ho organizzato un ciclo di serate al circolo No Cage di Prato nelle quali venivano proposti dei film ed altri contributi video su varie questioni (allevamenti, vivisezione, caccia, ecc). Il risultato è stato il seguente: un discreto afflusso al buffet vegan seguito da un costante deflusso una volta iniziate le proiezioni; alla fine rimanevano quasi sempre noi organizzatori e poche altre persone. Possibile che la gente sia interessata solo a mangiare e non anche a riflettere? In cosa sbagliamo?
Sono un insegnante di scuola media e mi sto impegnando, nei limiti del possibile, per portare, all’interno di questa istituzione, idee ed iniziative antispeciste. Inutile dirvi che le difficoltà che incontro sono notevoli, tuttavia quest’anno ho avuto la possibilità di far riflettere i ragazzi su alcuni temi e al termine di questo percorso siamo andati a visitare Ippoasi a San Piero a Grado. Ovviamente i risultati non sono visibili a breve termine a parte rari casi. Ci si scontra, però, anche qui, con lo specismo portato avanti dalle istituzioni. E’ come se il mio lavoro venisse vanificato ogni volta che i ragazzi arrivano alla mensa. Come poter cambiare radicalmente questo stato di cose?
Pablo, il tuo lavoro non viene affatto vanificato quando i ragazzi entrano in mensa, o per lo meno non da tutti. A Tortona, città in cui abito, c’è una docente di Italiano della scuola media inferiore che in una classe seconda ha (sorprendentemente) fatto una lezione sul veganismo, parlando della vegpyramid, facendo comunque un discorso ampio su animali, sfruttamento, mostrando fotografie piuttosto forti. Certi alunni e alunne hanno sentito la parola “vegan” per la prima volta in quell’occasione… Pensa un po’… I risultati si sono visti e ne ho avuto testimonianza diretta. E’ vero che le mense sono il più delle volte disastrose e la scelta vegan, se c’è, serve più ai ragazzi e ragazze di altre religioni che mangiano animali macellati con un altro metodo, non il nostro, quindi non mangiano la mostra carne. Tuttavia le tue lezioni a qualcuno aprono gli occhi: ne sono certa pur non conoscendo la realtà della tua scolaresca. E’ impossibile che in una classe questi discorsi scivolino via con facilità su tutte le menti. I ragazzi e le ragazze della scuola media inferiore non sono ancora presi dall’effetto modaiolo del vegan style, quindi è giustissimo fare presa sull’antispecismo più che sul veganismo. Certo che se gli insegnanti di scienze e di educazione fisica si impegnassero a parlare di educazione alimentare vegan e gli insegnanti di Italiano facessero lezioni sull’antispecismo, risulterebbe tutto più facile perché gli alunni e le alunne troverebbero più facilmente un nesso tra i vostri discorsi. Il punto per me è che bisogna fare entrambe le cose. Sono certa che se tu avessi la collaborazione dei tuoi colleghi, non ti scoraggeresti.
Quanto ai buffet vegan alle proiezioni, è tipico di qualsiasi evento vedere maggiore partecipazione se c’è da mangiare quindi non scoraggiarti neppure per quello. Tu concludi chiedendoti come cambiare radicalmente questo stato di cose ma non c’è una risposta. Non sono cose che si cambiano per esempio con una legge che dall’oggi al domani stabilisce la chiusura di un delfinario o con un regolamento comunale che vieta un palio di cavalli. Purtroppo, per cambiare queste cose radicalmente, quindi letteralmente alla radice, bisogna lavorare tutti i giorni, fino allo sfinimento e tu che sei un insegnante, mi pare di avere capito che fai tantissimo, quindi ti faccio un gigantesco incoraggiamento e moltissimi auguri di buon lavoro. Anzi, informa Veganzetta sui tuoi programmi didattici antispecisti perché secondo me sono interessantissimi.
A forza di aperitivi vegan ci siam bevuti il cervello…evidentemente si dato che la stessa redazione di veganzetta pubblica articoli che promuovono il veganesimo (ad esempio un articolo dal titolo “l’importanza di essere vegan”). Qualcosa stride, non vi pare?
” È per ottenere tutto ciò, è per salvare i più reietti del pianeta (gli Animali), e via via tutti gli altri, che molte persone sono diventare vegane; perché quella vegana era – ed è ancora – l’unica pratica immediata e percorribile per sottrarsi il più possibile alla macelleria quotidiana della nostra società, per obiettare, per protestare, per astenersi e prenderne le distanze, non per comprare qualcosa di eticamente accettabile a un prezzo da grande magazzino.”
E’ la solita mano che si nasconde dopo aver lanciato il sasso senza ammettere di aver preso parte anch’essa al circo mediatico del “salva un animale diventa vegan”, di non aver saputo cogliere in maniera costruttiva le critiche di chi, avendo a cuore la Liberazione Animale – quella fatta di gabbie aperte, di allevemanti svuotati, di laboratori imbrattati, di scritte sui muri – come tensione ostile nei confronti di un sistema di sfruttamento e asservimento, prospettava il panorama che oggi ci si estende davanti problematizzando sull’enfasi che si poneva (e continua a porsi) sul veganesimo come stile di vita capace di salvare vite. Niente di più forviante.
Il veganesimo era, ed è, un atto di coscienza personale non una protesta. Per manifestare il proprio disappunto bisogna scendere nelle strade e nelle piazze sostituendo la critica all’alimentazione carnea con la critica al sistema di sfruttamento e dominio che aliena animali e umani. E’ stato continuando a sostenere il veganesimo (o veganismo, poco importano le parole quando la pratica è scadente) come forma di lotta che ora ci si ritrova a fare i conti – in tutti i sensi- con i supermercati e i bravi consumatori. Sarebbe stato più coerente e corretto – almeno da un punto di vista della realtà filtrata dagli occhi di una animale ingabbiato – dire che l’unica pratica immediata e percorribile per opporsi non solo alla macelleria ma all’imprigionamento quotidiano è l’azione diretta.
Eppure si sostiene ancora che “Chi lotta per la libertà di un Visone per poi tornare a casa e mangiarsi un pezzo di formaggio non fa altro che aggiungersi alla schiera infinita di persone che hanno impiegato il proprio tempo in attività auto gratificanti non prive d’ipocrisia”…ma è proprio in queste frasi che si scorge la centralità dell’umano impegnato con il proprio sistema di coerenze che non ha fatto altro che creare tanti vegani da tastiera, pronti a fare media attivismo e a firmare petizioni online nascondendosi dietro un dito e sentendosi l’anima in pace perchè vegani.
Forse, e dico forse, chi mangia formaggio tornato a casa dopo essersi affiancato alla notte per liberare , nel vero senso della parola, altri animali continuerà a percepire l’angoscia e la paura perchè quegli animali li ha sentiti e visti soffrire ma ha scelto di mettere a repentaglio la propria libertà per abbracciare quel sogno di liberazione ormai inflazionato sulle bocche dei tanti.
Sarebbe meglio quindi se ci si soffermasse a riflettere sui giudizi che esprimiamo dall’alto del nostro ego e ragionare sul fatto che per diventare vegani non si rischia il carcere ma che facendo azione diretta (sabotaggio o liberazioni per chiarezza in questo marasma di neolinguismi)si. Infatti Gianluca Iacovacci e Adriano Antonacci ci insegnano la triste storia della repressione italiana.
“Ascoltare frasi del tipo “un attivista che mangia carne e che libera tre Galline, ha liberato più Animali di una persona che è vegan da tutta la vita” fa male al cuore, come pure al fegato e soprattutto alla causa antispecista.”
Forse fa male al cuore perchè, se vogliamo essere pragmatici e realisti è vero. O forse non diamo lo stesso significato alla parola liberazione…è allora qui che nasce il problema. Eppure liberare significa restituire alla libertà, sottrarre alle torture e ai pericoli e questo atto una persona, per il solo fatto di essere vegana, non lo mette in pratica. Essere contrari alle pellicce, non comprarle, boicottarle,protestare significa liberare quei visoni dal loro destino di morte? O solo chi tagliando una recinzione e aprendo le gabbie può avere l’onore e l’onere di quella parola?
E’ il caso quindi di ripensare a frasi come questa “Senza questa indispensabile spinta personale a non nuocere agli altri che costituisce l’eccezionalità – ma si potrebbe tranquillamente parlare di unicità – dell’idea vegana, senza questa palestra di coerenza, di autocontrollo e di ricerca esistenziale, l’antispecismo sarebbe poca cosa.” se veramente non vogliamo berci il cervello; perchè finche l’antispecismo passerà per l’idea di massima coerenza vegana e non per il desiderio infinito di libertà e ostilità nei confronti di chi la nega…allora continueremo a perderci negli infiniti bicchieri di aperitivi vegani.
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Bisognerebbe analizzare e approfondire il capitalismo verde il green washing per capire meglio il significato e il ruolo che l’alimentazione vegan assume sugli scaffali dei supermercati all’interno di un sistema tecno capitalista.
Insomma, io sarò pure ottusa, ma non vedo contraddizione tra i diversi modi di agire.
In un corpo il cervello serve a pensare, i muscoli a muoversi, il sangue a portare nutrimento, il tessuto connettivo – che pure quello ci vuole – tiene insieme la baracca.
In un esercito c’è la fanteria, ci sono le divisioni corazzate, i reparti d’assalto, i guastatori, i sommozzatori…
Ma ve l’immaginate il casino se tutti volessero fare la stessa cosa?
Ma poi, mica siamo tutti uguali:
I vegani sono come la sinistra: si piangono addosso pure se vincono, guarda tutti quelli che “è una moda il mangiare vegan, passerà come tutte le mode e per gli animali non cambierà nulla”.
Si prendono i coglioni a bottigliate, hanno la sindrome di Tafazzi, sempre lì a fare distinguo “io sono vegano, tu no”, sembra “Dash lava più bianco di Dixan” (e poi fioccano le multe)
Ma a che serve, si può sapere?
A che serve fare tutte queste distinzioni “io sono più vegano di te”, “no, tu non capisci niente, tu al massimo sei un salutista”, “e io sono antispecista, quindi sono più bello di tutti e due!”, “lascia stare, sei una pippa, tutti quelli che non aprono le gabbie sono delle pippe”, “e io, allora, che mi faccio il mazzo così per le sottoscrizioni, pure io sono una pippa?”…?
Gesù, che pollaio. Con tutto il rispetto per le galline.
Alla guerra si va in forze e compatti, se no si perde, e noi stiamo combattendo una guerra, la guerra dei cent’anni, dei duecento anni.
Le forze non mancano, siamo tanti – beh, sempre più che in Islanda o nello Utah…- ma in quanto a compattezza, è più compatta la tela di quel ragnetto che vive da mesi in un buco invisibile in casa mia, e non riesco mai a sfrattarlo (ho detto sfrattarlo, non ucciderlo, lo dico per i fondamentalisti che non sbattono nemmeno le lenzuola al mattino fuori dalla finestra per non uccidere gli acari).
La piantiamo, perfavore? Questa è una discussione che non porta a nulla, serve solo a disperdere le energie, e alla fine ognuno resta della propria idea e nessuno ha imparato niente dall’altro.
Allora, la piantiamo o no?
@ voiceofthevoiceless
Di queste cose se ne parla da anni. Su Veganzetta ci sono molti articoli: tutti chiari e coerenti: la linea è sempre stata la medesima, e di sicuro non viene rinnegata. Non è nello stile di Veganzetta (e di chi scrive) lanciare il sasso e nascondere la mano.
La tua visione dell’argomento è semplicistica e incoerente. Nel tuo caso (come per altri) appare inutile ripetere e cercare di spiegare un punto di vista diverso dal tuo/vostro, perché palesemente non c’è la volontà di capire, e tutto ciò induce inevitabilmente a dubitare della buonafede di chi sa solo attaccare gli altri senza mai voler avviare un vero confronto, che forse non sarebbe nemmeno in grado di sostenere. Non si tratta di cogliere critiche in maniera costruttiva, si tratta di fare delle critiche costruttive, e non solo votate allo sfascio.
Per meglio permettere a chi legge di farsi un’idea sulla questione veganismo etico (e non veganesimo che tanto fa assomigliare il tutto a una religione), si invita a leggere per intero l’articolo che tu citi “L’importanza di essere vegan” https://www.veganzetta.org/?p=4017 pubblicato nel 2012 nella versione cartacea di Veganzetta.
Altro articolo di sicuro interesse sulla questione è “”Essere vegano” https://www.veganzetta.org/?p=785 pubblicato nel 2010 (quindi in tempi non sospetti, essendo la “moda vegan” un fenomeno molto recente).
E’ opportuno anche far notare che la critica nei confronti del veganismo salutistico, opportunistico e consumistico c’è sempre stata su Veganzetta, un esempio lampante è l’articolo “Chi ha bisogno di Guru Yourofsky?” https://www.veganzetta.org/?p=1992 sempre del 2012.
Se proprio si ha voglia di approfondire, allora si propone “La via vegana etica per la rivoluzione” https://www.veganzetta.org/?p=585 articolo datato maggio 2010, e pubblicato sul numero 353 di A – Rivista anarchica. Testo dal quale si evince un concetto del veganismo etico radicalmente diversa da quella che tu intendi far passare con il tuo intervento.
Sulla questione di chi libera Animali e poi se ne torna a casa e mangia formaggio, lo si potrebbe anche per assurdo comprendere, se non fosse per il fatto che tu accusi Veganzetta di appoggiare il veganismo consumistico, e poi avalli chi mangia formaggio che da qualche parte lo dovrà pur aver comprato. Formaggio che è in tutto e per tutto un pezzo di un Animale, che a causa di chi mangia tale prodotto è vissuto in schiavitù. Quindi quale logica soggiace in questo tuo discorso? Come è possibile che si impieghino energie per liberare degli Animali, per poi recuperarle mangiando prodotti che li rendono di nuovo schiavi? Nessuno in questo sito web ha mai preso le distanze dalla liberazione diretta di animali se priva di violenza nei confronti di tutti gli esseri viventi, anzi, ci sono stati numerosi esempi di pubblicazione di rivendicazioni e video giunti in forma anonima, un esempio: https://www.veganzetta.org/?p=4355, o anche https://www.veganzetta.org/?p=4494
Le domande che a questo punto sorgono spontanee sono: non è concepibile che esistano persone vegane che si occupano di azioni dirette di liberazione animale? E anche: chi è vegan deve per forza essere autoreferenziale e accontentarsi di firmare qualche petizione e pubblicare post sui social network? Eppure risulta facile trovare notizie di attiviste/i vegan che sono purtroppo chiusi in galera per aver liberato degli Animali, o per aver lottato per la loro liberazione, un esempio recente che forse ti è sfuggito è in seguente https://www.veganzetta.org/?p=4853, tra l’altro Veganzetta è una delle pochissime realtà italiane che ha organizzato un incontro in occasione del tour nel nostro paese di un attivista SHAC che spiegava le attività repressive poste in atto dalla polizia inglese nei confronti di chi (attivista e vegan) protestava contro SHAC.
Si potrebbe procedere con questo tenore per molto ancora, ma quanto esposto è più che sufficiente per comprendere che le critiche che tu avanzi sono strumentali. Il veganismo etico non è una scelta individuale, non è nemmeno una scelta: è un obbligo morale e un atto di coerenza che chi anela a una società umana nuova, orizzontale e libera abbraccia per mettersi in gioco ed essere coerente con i propri ideali. E’ al contempo un forte atto di protesta e di rottura che il consumismo capitalistico sta cercando di fagocitare e utilizzare, sta a noi difendere l’idealità vegana. Non è così difficile capirlo.
@ voiceofthevoiceless
Io ho sempre sostenuto che il veganismo da solo non basti, specie se declinato nella sola accezione salutista o commerciale, ma che tuttavia, se si è antispecisti, non si può non essere vegani.
Mi spiace, ma non vedo proponibile il poter pensare di uscire a liberare dei visoni e poi tornare a casa e mangiarsi un pezzo di formaggio perché significherebbe continuare a partecipare di un meccanismo che genera violenza, morte, prigionia. Che poi rinunciare a quel pezzo di formaggio non salverà nessun animale in concreto è un conto, ma dire con leggerezza che comunque essere o non essere vegani poco importa quando e se si compiono azioni dirette è un altro.
Poi son d’accordo con te che dovremmo scendere in piazza per chiedere la fine del dominio e dello sfruttamento degli animali e non soltanto per promuovere il veganismo. O meglio, il veganismo va promosso, ma non disgiunto dal suo reale significato di opposizione al sistema di sfruttamento. Critico quindi gli aperitivi vegani in cui non si fa adeguata informazione e che passano per essere “menù alternativi” anziché rifiuto di tutto un sistema che schiavizza gli animali (compresi quelli umani).
Illuminante grazie!
Qui non si parla di SOGNI o ILLUSIONI!
La Vita Nostra..oggi…è già abbastanza accecata da consumismo e spot abbaglianti! Non abbiamo bisogno di altri falsi miti!
Qui si parla di CONSAPEVOLEZZA! La consapevolezza di essere COSCIENTI di un mondo malato di profitto e morte!
Tutti ridono, sghignazzano, mangiano, bevono e si abbuffano, alcuni anche seguendo diete indotte SEMPRE da chi ha uno scopo primario e cioè la fattura…e non ci rendiamo conto di essere pilotati da stereotipi ben studiati a priori. Test, progetti, proposte al vaglio di grosse aziende corporative che hanno un UNICO solo SCOPO: VENDERE!!
C’è chi confonde il Pil con il benessere del popolo, il popolo dei consumatori, sì, perchè tutti NOI lo siamo…consumatori! Lo siamo da quando mettiamo il pannolino…e infine la dentiera, e poi la cassa da morto. Nella nostra vita siamo dei consumatori pilotati, seguiti, a volte coccolati da colori, profumi e canzoncine ammiccanti e quant’altro. Le nostre case sono invase dallo stridere fastidioso della televisione, e se accendiamo la radio non è diversamente noioso tra una hit e l’altra…anzi forse peggio…non avendo le immagini le allusioni sono ancora più forti ed insistenti!
Molti non sanno che dietro a tutte queste strategie di marketing ci sono PERSONE istruite, laureate, colte, che non dormono la notte per far carriera ed inventarsi nuote tecniche di dolo e persuasione. Una vera droga autorizzata! E c’è anche chi afferma: “Sì, ma io non vedo la tv!”. Sincero e coraggioso, bello e utile…ma per tutto il resto come si fa?!
Bisogna allenarsi, schivare ogni imput ed evadere, con forza e determinazione, e comprare solo quello che si crede veramente utile…a noi stessi, agli animali…al mondo intero! Acquisto sostenibile! Questo è il futuro! Un pugno in faccia alle corporations…forse…
Come dice l’articolo sopra ogni nuova proposta aggiunta diventa una nuova fonte di guadagno e sfruttamento di risorse!
Non è sbagliata la domanda…è sbagliata la risposta! La nostra risposta!
Il sistema economico produttivo è fallato, corrotto, malato!
Il Pil nè è la dimostrazione concreta e reale! Non è un misuratore di benessere bensì un metro di ricchezza…altrui…!
Questo va cambiato! E se non lo facciamo ora, adesso…rischiamo di buttare nel cesso anni di lotta animalista! Putroppo…
“A forza di aperitivi vegan ci siam bevuti il cervello”
https://www.veganzetta.org/veganaperitivo-a-roncade-tv-con-ca-e-veganzetta/
Grazie per il rimando all’evento.
L’intento riportato nell’articolo di presentazione era chiaro: “introduzione al veganismo etico
banchetto informativo vegan antispecista
mostra di pubblicità antispeciste
distribuzione del giornale VEGANZETTA”
Non è difficile capire la differenza tra un evento informativo antispecista con cena o aperitivo vegan e una cena o aperitivo vegan e basta.