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Il 2 settembre 1910 nasceva a Mexborough in Inghilterra Donald Watson: co-fondatore nel 1944 della Vegan Society (assieme ad un piccolo gruppo di persone umane fuoriuscite dalla Vegetarian Society) e quindi pioniere del veganismo moderno.
Della sua lunga esistenza (morì nel 2005 alla veneranda età di 95 anni) si trovano al giorno d’oggi purtroppo sempre meno tracce, quando invece – ora più che mai data l’assoluta confusione che vige in ambito vegano – si dovrebbe ricordare il suo percorso di vita e riscoprire le sue posizioni, per dare finalmente un senso compiuto al concetto di veganismo (cosa che è ben lontana dal verificarsi). La stessa Vegan Society gli dedica solo uno stringatissimo post sul suo profilo facebook e nulla più, chiaro sintomo di quanto i principi e la storia della stessa società da lui fondata siano stati dimenticati.
Perché sta accadendo tutto ciò? Sostanzialmente perché il veganismo moderno non è riuscito ancora a sviluppare (dopo ben 76 anni) una sua memoria storica, a causa del fatto che non esiste una vera cultura vegana con una propria narrazione. Se così non fosse, chi ha passato la propria esistenza a lavorare per la diffusione dell’idea vegana, non finirebbe nel dimenticatoio e ciò chiaramente non vale solo per Watson, ma anche per molte altre persone umane che si sono adoperate in tal senso.
Basterebbe anche solo leggere la trascrizione di un’interessante intervista radiofonica di George D Rodger a Donald Watson (in inglese) risalente al 15 dicembre 2002, per comprendere quali fossero le sue posizioni etiche originarie e quanto la sua esperienza abbia caratterizzato l’idea vegana.
Raccontando le sue esperienze di vita, Watson svela degli elementi fondamentali che non dovrebbero in nessun modo essere dimenticati da chi si reputa una persona umana vegana: la compassione, la nonviolenza e il senso di giustizia interspecifica. E’ così che nell’intervista si possono leggere frasi come «tutto il mio scavare era fatto con una forchetta, non con la vanga, così da non ferire i lombrichi» in riferimento al fatto che Watson era molto attivo nella pratica dell’orticoltura e in generale nell’autoproduzione, ma non voleva in alcun modo che le sue attività di coltivazione danneggiassero gli Animali, Lombrichi compresi. Con lucidità Watson riferisce al suo intervistatore di esperienze vissute durante la sua gioventù: la scoperta della tragica fine che gli Animali subivano nella fattoria di suo zio George, un luogo ritenuto paradisiaco dal piccolo Donald fino al giorno in cui i suoi amici Maiali non vengono ammazzati, facendogli comprendere che quel luogo altro non era che un «braccio della morte». Oppure le sue posizioni perentorie contro la caccia, la vivisezione e il suo grande rispetto per chi compie azioni dirette di liberazione animale.
Alla domanda «Donald, hai qualche messaggio per le molte migliaia di persone che ora sono vegane?» Watson risponde «Sì. Vorrei che prendessero in considerazione ciò che il veganismo rappresenta. Qualcosa che va al di là del trovare una nuova alternativa alle uova strapazzate sul toast o una nuova ricetta per la torta di Natale. Vorrei che si rendessero conto che hanno a che fare con qualcosa di veramente grande».
Ricordare le figure di riferimento del veganismo moderno, significa ricordare le nostre reali radici e in definitiva comprendere e accettare la nostra identità e la sua natura squisitamente etica. Ciò per poter portare a compimento un’opera ardua come quella di trasformare l’attuale “civiltà umana” fondata sulla discriminazione, l’ingiustizia e la violenza sugli Animali (Umano compreso), in «una civiltà diversa, e la prima di tutta la nostra storia che meriterebbe davvero il titolo di civiltà», come affermava Watson.
Buon compleanno caro Donald e grazie di tutto.
Adriano Fragano
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Hai fatto bene a ricordarlo. Penso che moltissime persone vegan non sappiano neppure chi sia, soprattutto chi è vegan per motivi salutistici o perché pare che sia trendy esserlo.
Non lo hai scritto tu ma lo scrivo io: il tuo libro “Disobbedienza vegana” aiuta moltissimo a capire la differenza tra i vari modi di intendere il veganismo ed è anche emozionante l’omaggio che fai a Watson nel libro.
Purtroppo è vero ciò che dici: probabilmente molte persone umane che si definiscono impropriamente “vegane” non sanno nemmeno chi sia. Peggio ancora è probabile che tra chi non conosce Donald Watson, ci sia anche chi segue il veganismo per motivi etici, ma ne ignora le radici morali.
“Disobbedienza vegana” è in parte anche un tributo a ciò che ha fatto Watson durante la sua vita.