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Non si tratta di casi isolati, ma accade invece abbastanza di frequente che le persone umane che si occupano della gestione delle colonie feline vengano schernite o che ricevano insulti che talvolta sfociano in veri e propri episodi di aggressione verbale e persino che siano oggetto di una sorta di mobbing, ossia importunate e osteggiate nello svolgere le proprie mansioni. A essere molestate sono quasi sempre le persone umane di sesso femminile – forse perché apparentemente più indifese e deboli fisicamente – vittime di battute sessiste e maschiliste; anche se ovviamente a prendersi cura dei Gatti randagi non sono solo le donne.
La gattara di turno viene spesso derisa e non di rado redarguita con toni aspri. Si contesta in particolare l’attività in sé dello sfamare i Mici randagi, anche se facenti parte di colonie opportunamente registrate e tenute numericamente sotto controllo con la sterilizzazione dei singoli individui, appellandosi a ridicole e talvolta fantasiose motivazioni che vanno dalla più comune “i gatti cacciano e provvedono a sfamarsi da soli” alla “i gatti portano malattie, sporcano ecc.”, fino a vere e proprie acrobazie mentali come “i gatti portano i topi” (sic!) e “finiremo per essere invasi da gatti”.
L’astio che accompagna di solito queste recriminazioni è davvero significativo. Un astio che talvolta si concretizza in vere e proprie minacce contro la persona o contro i Gatti stessi. Se non si giunge a tali livelli, si percepisce comunque un fastidio generalizzato, una sorta quasi di ribrezzo e schifo sia verso i Gatti, che verso la persona umana che se ne occupa. Il cliché della gattara – di persona sciatta, generalmente di sesso femminile, anziana e sola, poco importa se tale immagine non corrisponda affatto alla realtà – e la superstizione nei confronti dei Gatti neri che li vede come portatori di sfortuna, contribuiscono non poco a generare il fastidio verso questo servizio sociale e compassionevole.
A differenza di altre forme di attivismo contro lo sfruttamento degli Animali, in cui le motivazioni dell’astio e del fastidio, se non giustificate, possono essere però comprensibili (è tutto un intero sistema che viene messo radicalmente in discussione, talvolta con metodi comunicativi poco efficaci), si fatica non poco a capire come mai ci sia tutta questa avversione per le persone umane che si occupano dei Gatti randagi.
Se da una parte questi atteggiamenti rientrano nel più ampio discorso dello specismo, dall’altra è probabile non sia sufficiente come risposta.
E’ evidente che tale avversione, sebbene apparentemente rivolta a chi si occupa dei Gatti, sia in realtà rivolta agli Animali stessi. La gattara è vista sì come colei che consente la sopravvivenza della colonia, ma è contro l’esistenza della colonia stessa che sono indirizzate le critiche.
Eppure i Gatti sono Animali considerati d’affezione: proprio molte delle persone umane che si lamentano delle colonie passeggiano con il loro Cane e magari fanno accenno al loro Gatto di casa. Inoltre, a differenza dell’attivismo contro lo sfruttamento degli Animali, qui non si chiede di cambiare abitudini, di smettere di mangiare Animali o altro. Non si chiede nulla. Ci si limita a fare, a prendersi cura di questi soggetti felini quasi sempre vittime di abbandoni e che poi trovano conforto in mezzo ad altri dalla sorte simile.
Che disturbi e infastidisca vedere che qualcuno si prenda l’impegno e la briga di “fare del bene” ad altri esseri senzienti? E’ chiaro che in molti permanga l’assurda convinzione che l’empatia e l’impegno sociali siano valori con scorte limitate, destinate a esaurirsi nel tempo e quindi da utilizzarsi con parsimonia indirizzandole solo verso gli individui appartenenti alla stessa specie, eppure non può essere ancora questa l’unica ragione di tanto disprezzo.
Tentiamo quindi di poter avanzare un’altra ipotesi: ci troviamo di fronte a un caso di teriofobia (lett. paura degli Animali) in cui ciò che spaventa, disturba, disorienta non è tanto l’Animale in sé, ma l’Animale libero, non addomesticato, non controllabile e quindi, di riflesso e per estensione, il concetto di animalità in sé visto come opposizione a quello di civiltà intesa come soppressione degli istinti, come controllo e ordine sociale.
La colonia felina, per quanto circoscritta e in realtà controllata molto di più di quel che si pensi (nel senso di contenimento degli individui tramite sterilizzazione, come detto sopra) è composta da Animali liberi di muoversi, di condividere gli spazi urbani, di abitare le strade e di essere, insomma, affrancati dal dominio della nostra specie. Iconiche le immagini di questi bellissimi Felini che al crepuscolo cominciano a fare la loro apparizione, muovendosi aggraziati e sinuosi, con un’eleganza e una grazia da far invidia a chiunque, eppure visti (attraverso la lente teriofobica) come sporchi, pericolosi, ingombranti. Notturni e quindi maggiormente ambigui.
Ora, un concetto, come quello di umanità, che si è andato nei secoli a costituire proprio in opposizione a quello di animalità, ha un continuo bisogno di essere rafforzato e confermato, anche ribadendo la propria, falsa, posizione di superiorità sulle altre specie. E quando la superiorità è fittizia, è solo schernendo e dipingendo come inferiore l’altro, che la si può continuare a sostenere. C’è poi un concetto di proprietà dello spazio e della Natura che è davvero emblematico: come se la strade fossero nostre, come se solo noi appartenenti alla specie umana avessimo il diritto di percorrerle.
La persona umana che investe tempo ed energie personali nella cura degli altri Animali è vista così come una sovvertitrice di senso e di un ordine sociale e gerarchico prestabilito. Sostenere e proteggere individui liberi ci ricorda che non tutto è domabile, che non tutto è assoggettabile a norme di controllo e mercificazione. Questi altri individui che, senza chiederci il permesso, osano abitare i nostri stessi spazi urbani, evidentemente turbano più di quanto si immagini e turbano proprio perché ci ricordano quanto abbiamo faticato – culturalmente parlando – per rimuovere e controllare la nostra, di animalità, percepita come negativa poiché è sulla negazione di essa che abbiamo eretto le fondamenta del nostro antropocentrismo. Forse quindi, in definitiva, la persona che inveisce contro la gattara di turno, sta cercando di distanziarsi da qualcosa, dal timore di veder riflessa all’improvviso la propria parte animalità – il proprio lato oscuro? – e di allontanarsi dal ricordo di tutto quello che abbiamo sacrificato per ottenere in cambio un’illusoria sicurezza e una parvenza di civiltà che in realtà è dominio, prevaricazione dell’altro, soppressione dell’empatia, negazione degli istinti.
Crediamo che l’antispecismo, inteso come lotta politica contro lo sfruttamento istituzionalizzato e il dominio degli altri Animali, nonché come battaglia etica contro la diversa considerazione degli Animali, non possa trascurare anche questo aspetto, ossia quello delle ragioni – antropologiche-psicologiche-storico-sociali-filosofiche, cultuali in senso ampio – che sono alla radice della teriofobia, intesa come paura della perdita della propria umanità, in realtà di quel concetto fallace di umanità che abbiamo costruito con violenza, dominio e allontanamento della Natura.
Nel frattempo, sul lato pratico, non dobbiamo assolutamente lasciarci intimidire da questi frequenti episodi, specialmente se accompagnati da minacce, aggressioni o offese.
Il cammino verso una società aspecista passa anche attraverso queste singole battaglie che solo apparentemente sembrano minori (rispetto al più ampio campo dell’attivismo contro lo sfruttamento), ma che in realtà contribuiscono a formare la cornice culturale entro la quale continuare a legittimare prevaricazioni, abusi e violenza di ogni genere.
Rita Ciatti – Veganzetta
gattara
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Carissima Rita,
ti ringrazio molto per aver voluto affrontare, con il tuo contributo, un tema che mi è molto caro personalmente, in quanto “gattara”, ma che soprattutto ritengo di primaria importanza anche in termini ben più generali e che esulano dalla mia persona e dalla mia esperienza.
Il provvedere ad una colonia felina, a mio avviso, è un atto pienamente ascrivibile all’insieme delle azioni da “attivista” e non solo nell’ambito dell’attivismo rivolto solo e unicamente agli animali.
Ritengo, infatti, quello di supportare l’esistenza all’interno degli spazi urbani di colonie feline, uno degli atti che più concretamente contribuiscono alla resistenza di angoli (fisici e teorici) di “selvaggio”.
Ritengo il gatto – insieme al ratto volendo- uno degli ultimi baluardi di vita selvatica all’interno di spazi urbanizzati e, di conseguenza, quello di supportarne l’esistenza all’interno delle nostre città, un atto assolutamente politico più che caritatevole o affettivo.
Di certo di “gattare” ce ne sono di tanti “tipi” e sono certa che la mia visione non sia tra le più diffuse, ma è una riflessione da affrontare questa, ovvero del sostegno dato da attivisti che scelgono di impegnarsi costantemente per supportare l’esistenza stessa degli animali in un ambiente sempre più ostile alla loro vita e, sicuramente, dell’ostilità che questi incontrano nel loro impegno quotidiano; almeno a mio personale avviso.
Volendo approfondire ulteriormente, converrai, fin troppo spesso sono gli stessi “attivisti nobili” che disprezzano l’attività svolta per le colonie feline e la ritengono una sorta di “attivismo di serie b” e anche le motivazioni di questo fenomeno andrebbero approfondite e bisognerebbe proprio disarticolare questo pregiudizio che vede la gattara solo come una persona “a cui piacciono i gatti” uscendo, quindi, da questa visione semplicistica.
In più, mi fa piacere condividere con te e con chi legge Veganzetta, un interessante dossier che tratta questo tema e che – pur affrontando la questione anche in termini di legge e legandola al concetto di “tutela”- a mio avviso è un interessante contributo ed integrazione al tuo interessante intervento.
Lo si trova a questo link:
http://www.filosofia.unimi.it/zucchi/NuoviFile/DonnaDeiGatti.pdf
Grazie ancora,
Ada.
Cara Ada,
grazie a te per il tuo bel commento, con il quale mi trovi d’accordo sotto ogni punto.
Ho notato anche io che spesso gli attivisti tendono a considerare la cura e gestione delle colonie feline (ma anche il volontariato nei canili) come un’attività di serie b rispetto alle altre lotte, forse perché si pensa che gatti e cani, essendo animali considerati d’affezione, abbiano una sorte senz’altro migliore rispetto a tutti gli individui delle altre specie che vengono sfruttati, schiavizzati, uccisi e che quindi ci si debba concentrare di più su questi ultimi; da una parte può essere vero in termini numerici, ma fino a un certo punto. Anche i gatti sono infatti spesso vittime di violenza e abusi, nonché, come abbiamo visto, di una diversa considerazione morale.
E vero anche che dovremmo difendere questi ultimi baluardi di vita selvatica cercando di farne capire il valore alle persone.
Ti dirò, ogni tanto capita anche di ricevere parole di sostegno da parte dei passanti, ma è raro.
Leggerò senz’altro il dossier che mi hai linkato, grazie mille.
Un caro saluto
Condivido l’opinione di Ada secondo cui ci siano talvolta “classificazioni” negli attivisti, in questo caso considerando di serie B l’occuparsi delle colonie feline. E’ inoltre un peccato che la questione dei gatti randagi in ambiente urbano non venga trattato con la giusta ottica di salvaguardia da parte dei comuni interessati. Sono un medico veterinario e nella mia professione mi trovo molto spesso a collaborare con “gattare” che si occupano, non senza difficoltà, di preservare nei modi a loro possibili la salute degli abitanti delle colonie cittadine. Per questo motivo non mi trovo pienamente in accordo col il tono dell’articolo in quanto, per ciò che riguarda la mia esperienza, l’idea delle persone che si attivano per i gatti si è fortunatamente modificata negli anni ed è, discorso valido per ogni incontro che avviene nelle nostre vite, dipendente dalla personalità e dai comportamenti che ognuno di noi attua. Insomma, io ho una visione fortunatamente più ottimistica delle “gattare”. Ma mi unisco a voi nel ribadire il fatto che cani e gatti, etichettati come Animali “da compagnia” subiscano inevitabilmente atteggiamenti specisti, il vivere sul divano di casa non li esonera da questa sorte. Ecco, su questo sono anche io pessimista.
Un saluto
Ciao Alice, grazie per il tuo commento.
Sì, fortunatamente ci sono sempre più persone che ritengono meritoria la cura delle gestione feline da parte dei volontari, ma, nella mia personale esperienza, e almeno nella mia zona, sono più frequenti i comportamenti di disturbo. Anche da parte di giovanissimi, convinti che i gatti neri portino sfortuna. Lo so, sembra di essere nel Medioevo, eppure è così. Per non parlare poi delle Asl locali, completamente assenti. Le spese di sterilizzazione e per il cibo sono tutte a carico di noi volontari, così come la cura dei mici quando devono essere portati dal veterinario. Le cliniche fanno sconti davvero minimi.
Personalmente vivo a Palermo dove la situazione relativamente alle colonie feline e, in generale, quella relativa all’applicazione delle leggi vigenti circa il codiddetto “benessere animale” è a dir poco disastrosa. Il punto è chiaramente culturale, certo, ma anche amministrativo nel caso di fortinura di servizi a supporto dei volontari quali ad esempio sterilizzazioni e cure gratuite.
Qui si tratta di un miraggio anche avere la reperibilità h24 del presidio veterinario comunale e tutto è lasciato all’opera dei volontari.
Caso eclatante, di cui mi occupo personalmente ormai dal 2010, è quello degli animali che vivono nel parco di Villa Niscemi – peraltro sede di rappresentanza del Sindaco – che vivono solo grazie alle donazioni dei privati e all’opera gratuita dei volontari.
Lo uso come esempio perchè nonostante per il Comune l’investimento per il mantenimento dei 54 pennuti e dei 15 gatti sarebbe veramente un’inezia e nonostante le tonnellate di incartamenti, ad oggi la “responsabilità” di quegli animali è ascritta nientepopodimenoche all’assessorato “Verde e arredo urbano”.
Non so se mi spiego.
Non “Diritti animali” ma “Verde e arredo urbano”.
Significa che quegli animali per il Comune di Palermo sono solo “cose”, alla stegua di panchine e lampioni, oggetti per abbellire la villa e dunque non si possono mica nutrire le panchine! Quindi, nessun capitolato di spesa per il cibo.
Questo è il delirio in cui viviamo.
Da qui, oltre che dalle mie idee pregresse, la totale sfiducia nell’operato delle amministrazioni.
Non credo ai miei orecchi o a i miei occhi! Curare le colonie di gatti sarebbe anche, oltre a dargli di che vivere, castrarli perché non si riproducano troppo? Mi suona tanto nazista! Trattiamoli bene ma castriamoli! Veramente curioso.
L’opera di sterilizzazione dei Gatti delle colonie feline (come del resto anche la sterilizzazione dei Cani liberi nel territorio) è di grande importanza. Pensare che si tratti semplicemente di un intervento crudele o “contro natura” è errato e denota che non si conosce la materia. Se non ci fosse chi si occupa delle sterilizzazioni, il numero dei Gatti delle colonie feline aumenterebbe in maniera esponenziale (così come anche quello dei Cani di cui sopra), ciò con tutte le problematiche conseguenti.
E’ proprio a causa delle continue nascite se Umani di buona volontà – come chi si occupa delle colonie feline – lottano tutti i giorni per far fronte a infinite emergenze: il terribile fenomeno del randagismo è dovuto anche a questo problema. Comunque la questione è ampia e complessa, magari l’autrice dell’articolo potrà fornire ulteriori informazioni.