La china scivolosa della compassione


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polpoAttualmente è in atto una campagna informativa su Compassion in World Farming (CIWF) promossa congiuntamente da Campagne per gli animali (Ca) e Bioviolenza. Quest’associazione che si definisce “la maggiore organizzazione internazionale per il benessere degli animali d’allevamento” svolge una intensa attività contro gli allevamenti intensivi e a favore di “pratiche di allevamento rispettose del benessere degli animali”. In pratica si tratta di spedire gli Animali al mattatoio dopo aver loro consentito una vita diversa da quella offerta dalle pratiche di allevamento dominanti basate sui megacapannoni e sulle stalle di clausura. Esisterebbe già un motivo per giustificare la campagna: CIWF rappresenta una di quelle iniziative, oggi sempre più alla moda, che rientrano in quella che viene chiamata “produzione di carne felice”. In altri termini, l’allevamento rispettoso dell’Animale e delle sue esigenze etologiche finché non viene mandato al macello. È evidente che una pratica di allevamento così caratterizzata non possa rientrare nemmeno negli standard protezionisti, che perseguono miglioramenti graduali della sofferenza nella prospettiva della sua eliminazione.

Ma la campagna non è stata impostata per questo motivo. Ca e Bioviolenza hanno già in più occasioni contestato l’idea della “carne felice” (chi volesse approfondire la questione può andare, ad es., sui siti bioviolenza.blogspot.it o www.humanemith.org). In questo caso, invece, ciò che ha irritato le due sigle antispeciste è la sottile politica avviata da CIWF consistente nel tentare di coinvolgere il movimento animalista nelle sue attività. Tale coinvolgimento avverrebbe facendo passare CIWF non solo dalla parte degli Animali, ma persino dalla parte degli animalisti. Come? Semplicemente proponendo iniziative, raccolte firme per il benessere degli Animali d’allevamento e coinvolgendo quella parte del movimento che ancora si attarda sulla formula “meglio poco che niente” che a sua volta si basa su un assurdo ed equivoco buon senso. Larghi strati di popolazione con idee generiche e approssimative sulla questione animale possono facilmente scambiare l’animalismo con le iniziative di CIWF, e quindi condurre all’indebolimento dei messaggi che ogni giorno le associazioni antispeciste cercano di far circolare tra il pubblico.

Insomma, l’ambigua disposizione di CIWF finalizzata a mostrarsi anch’esso dalla parte degli Animali, promuovendo il loro benessere fisico, psichico e l’offerta di una vita naturale, induce una negativa influenza sull’opinione pubblica secondo la quale l’animalismo è anche questo: amare gli Animali prima di servirsene per ogni scopo, prima di tutto l’alimentazione. Purtroppo ci sono attivisti protezionisti che cadono nella trappola e altri che addirittura la sostengono con naturalezza: lo stesso accenno a CIWF riportato nel cosiddetto Manifesto animalista dell’Onorevole Brambilla – esempio luminoso di animalismo confusionario e ambiguo – lo attesta.

Occorre dare atto di gran sensibilità a Ca e Bioviolenza per aver colto con preoccupazione il pericolo e per aver impostato la campagna. L’iniziativa ha promosso interesse, ma se un certo numero di associazioni e gruppi ha aderito con convinzione, altri gruppi hanno respinto l’invito ad aggiungere la loro sigla alla lista delle adesioni. Si tratta di una situazione che non stupisce affatto chi conosce l’ambiente dell’animalismo italiano (che comunque non è molto diverso da quelli degli altri Paesi).

Tempo fa, il linguista Tullio De Mauro osservava una generale difficoltà di gran parte del popolo italiano a comprendere strutture linguistiche leggermente più articolate rispetto a semplici frasi “soggetto-verbo-complemento”. Evidentemente le stesse difficoltà permangono anche tra certi gruppi di animalisti, che si distinguono dal resto della popolazione per una spiccata sensibilità verso la condizione animale, ma non necessariamente per altro. In effetti alcune risposte fornite per giustificare la mancata adesione, hanno dimostrato la mancata comprensione dell’obiettivo della campagna che non era la “carne felice”, perché altrimenti la campagna sarebbe stata impostata in altro modo, ma nel sottile tentativo da parte di CIWF di confondere le carte in tavola e di presentarsi come referente per l’animalismo. Del resto è detto chiaro: la campagna è stata ideata «al fine di evitare questo connubio tra allevatori/produttori paradossalmente “sensibili” alla sofferenza animale e il movimento di liberazione animale, connubio che distorce e offende la lotta per la liberazione e la dignità delle vittime»1.

È facile giungere alla conclusione che queste non-adesioni dimostrano ulteriormente l’importanza della campagna in atto; infatti l’incapacità da parte di alcuni di relazionarsi con l’oggettività delle cose attraverso quello strumento così fondamentale e caratteristico della specie umana che è il linguaggio comporta il rischio che gli stessi siano facilmente catturabili dalle ambigue manovre di CIWF.

Tuttavia altre risposte tendenti a prendere le distanze dalla campagna sono altrettanto istruttive per ritornare su una questione che si ripete periodicamente. Non sarà quindi inutile tentare di ribadire, per l’ennesima volta, un concetto assai semplice che fatica a farsi strada in certi ambienti di stampo protezionista.

Secondo l’impostazione protezionista, i piccoli miglioramenti che si riescono a conquistare – miglioramenti come gabbie arricchite, trasporti meno traumatici, procedure di macellazione indolore ecc. – costituiscono comunque situazioni desiderabili per gli Animali. Anzi, i protezionisti stigmatizzano l’atteggiamento abolizionista ricordando che nelle gabbie o nei camion ci sono individui che verrebbero sacrificati in nome di principi e dogmi astratti. Che l’argomento sia portato fino in fondo o perfidamente lasciato sospeso, il messaggio è sempre lo stesso: in nome di principi siete disposti ad accettare una maggiore sofferenza altrui!

La risposta è semplice. Le misure di attenuazione della sofferenza si dividono in due categorie: 1) quelle prese autonomamente dal sistema (ad es. l’art. 13 del Trattato di Lisbona che definisce gli Animali “esseri senzienti”) e 2) quelle che derivano da un qualche tipo di contrattazione con associazioni protezioniste.

Le prime derivano da generiche trasformazioni culturali, che tendono a importare modifiche welfariste e zoofile nel campo dell’allevamento. Poiché la dinamica di queste misure (che si traducono in genere in ben pochi risultati significativi) è indipendente dal lavoro di associazioni animaliste, o vi è una connessione piuttosto indiretta con il loro agire, ha poco senso discutere se sia meglio attuare strategie protezioniste o abolizioniste.

Le seconde invece sono più problematiche. Si può osservare che contrattare l’attuazione di una procedura che conferma la schiavitù di altri Animali significa assumersi una grave responsabilità morale in quanto, comunque, si convalida dominio e sfruttamento su altri esseri senzienti. Piuttosto è doveroso ribadire, in ogni occasione che si presenti, la ferma condanna delle pratiche speciste e l’indisponibilità a mediare su questioni non negoziabili. Sarà proprio il clima sociale dovuto alla propaganda e alle iniziative antispeciste a indurre le istituzioni a “moderarsi” nelle pratiche dello sterminio degli altri Animali. In altri termini, quelle lente trasformazioni nel miglioramento dello sfruttamento tanto ambite dai protezionisti non sono il prodotto di una mentalità servile verso il potere specista, ma l’effetto delle lotte e delle iniziative abolizioniste. Opporsi, opporsi e ancora opporsi in ogni confronto sociale che può aprirsi significa costringere le istituzioni del potere a fare i conti con lo scarto esistente tra il decantato umanesimo della specie, e le sue orride pratiche violente. Da questo scarto possono nascere le politiche riformiste, ma esse sarebbero del tutto “interne” alle scelte speciste e frutto dei sensi di colpa del “sistema”, e non corromperebbero un’idea e il movimento che combatte perché essa si affermi.

Aldo Sottofattori

Note:
1) Per maggiori informazioni visitare la pagina web: www.veganzetta.org/?p=4308


Articolo pubblicato originariamente nella rivista Veganzetta versione cartacea: Numero 8 del 31 dicembre 2013, p. 4


 


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6 Commenti
  1. doom ha scritto:

    Viste, grazie. Ho letto anche il messaggio della Compassion in World Farming, mi interessano le campagne CIWF, Sonodegno però mi mette dubbi.

    26 Luglio, 2014
    Rispondi
  2. Veganzetta ha scritto:

    Ciao doom, forse non hai capito che CIWF NON è contro gli allevamenti di Animali e il loro sfruttamento come cibo. Sonodegno è una campagna per far stare “meglio” i Maiali nei lager per poi diventare carne per gli Umani.

    26 Luglio, 2014
    Rispondi
  3. doom ha scritto:

    Ciao Veganzetta, Sonodegno mi sembra un compromesso, per chi sfrutta l’animale, non per l’animale in sè. Nella pagina Domande&Risposte, CIWF dice di non promuovere prodotti di origine animale.

    26 Luglio, 2014
    Rispondi
  4. Veganzetta ha scritto:

    Ciao Doom, Sonodegno è una vergogna non un compromesso.
    Hai guardato la pagina sbagliata.
    Per cortesia leggiti bene l’appello che abbiamo fatto assieme a Bioviolenza (e al quale hanno aderito numerose sigle animaliste) che puoi trovare a questa pagina:

    https://www.veganzetta.org/la-china-scivolosa-della-compassione-appello
    al link LEGGI IL TESTO DELL’APPELLO

    CIWF ha elargito premi e riconoscimenti a aziende come McDonald’s e Amadori (pure questo c’è sul loro sito), se questo non è “promuovere prodotti di origine animale” che sarebbe? Serve aggiungere altro?

    26 Luglio, 2014
    Rispondi

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